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News di Alcologia

Alcol e lavoro: il punto di vista del medico

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Alcol e lavoro
Dott. Plinio Amendola, Medico del Lavoro CDI
In Italia, come in Europa e negli Stati Uniti, si stima che circa il 60-70% dei soggetti che abusa di sostanze psicoattive sia occupato, più

o meno stabilmente, in attività lavorative.
Si tratta spesso di lavoratori "problematici" sotto molti aspetti perché soggetti a un aumento di oltre due volte del tasso di turnover e

assenze, a un incremento di circa tre volte maggiore di infortuni e altri incidenti, oltre a una più significativa frequenza di intemperanze

disciplinari.
Tra le sostanze psicoattive certamente l'alcol è la più diffusa e socialmente tollerata. L'abuso di alcol in Italia, secondo l'Istituto

Superiore di Sanità, è associato fino al 20% agli infortuni sul lavoro e non solo. Ad esso può essere attribuito circa il 10% della mortalità

generale. Le cause risiedono nell'insorgenza di tumori, malattie neurologiche ed epatiche, ma soprattutto negli "incidenti" stradali e sul

lavoro. Per un consumo di 2-3 unità alcoliche (20-40 g di alcol), considerata la dose giornaliera massima consigliata dall'OMS, si

raggiungono già concentrazioni ematiche superiori a 0,2-0,4 g/l tali per cui il disturbo dell'attenzione, il rallentamento dei riflessi e la

riduzione della percezione sensoriale sono già in grado di provocare incidenti.
Questi valori sono facilmente misurabili attraverso l'esame delle concentrazioni di etanolo nell'aria espirata (etilometro) ed eventualmente

nel sangue (etanolemia).
Possono rappresentare una valutazione immediata delle alterazioni provocate da un'assunzione "acuta" che influisce negativamente sulle

capacità necessarie a portare a termine compiti lavorativi anche delicati e che per questo genera un pericolo per sé e per gli altri colleghi

di lavoro. Oltre all'abuso di alcol in acuto, anche quello "cronico" e l'alcool dipendenza sono problemi che richiedono dissuasione,

interdizione, e un approccio improntato alla "prevenzione" messo in atto alla stregua delle altre droghe di abuso. La strategia promossa in

tutta la Comunità Europea prevede a livello occupazionale non solo un controllo legato al momento fondamentale dell'assunzione, peraltro

ormai osservato ovunque attraverso il divieto di consumo di bevande alcoliche sul luogo di lavoro e durante attività lavorative a rischio, ma

anche una strategia tesa a prevenire i danni da assunzione cronica. L'alcolismo è sicuramente un problema di pertinenza della sfera

familiare, ma un alcolista lo rimane anche quando è al lavoro e in quel caso diviene inevitabilmente un problema ad esso correlato. Anche per

il "binge drinker", il bevitore della sbronza del week-end, soprattutto tra i più giovani, i pericoli non sono legati solo alla guida, ma si

presentano il "giorno dopo". Senza dimenticare che il binge drinker ha una via privilegiata per l'alcool dipendenza.
Quali strumenti diagnostici ci permettono di valutare queste condizioni?
Sicuramente la valutazione medica specialistica alcologica e psichiatrica. Non sempre, tuttavia, una strada di questo tipo è percorribile sia

per problemi logistici sia per la scarsa accettazione di questo approccio da parte dell'interessato. Gli esami del sangue per la valutazione

del danno epatico, transaminasi e gammaglutamiltranspeptidasi in particolare e un aumentato volume corpuscolare medio dei globuli rossi

possono rappresentare una valida indicazione per orientarsi. Più sensibile e specifica è la valutazione della transferrina decarboidrata nel

sangue, una frazione della proteina che normalmente non eccede il 2-3%, ma che tende ad aumentare per un consumo di oltre 3 unità alcoliche (superiore al mezzo litro di vino al giorno) nei 15-20 giorni precedenti.
Ancora più sensibile e specifica è la valutazione dell'etilglucuronide nella cheratina della matrice pilifera. Questo esame consente di

stabilire il consumo abituale degli ultimi 3 mesi e permette persino di valutare le ricadute in persone che si sottopongono ad un ciclo di

riabilitazione. La valutazione dei rischi legati all'assunzione di alcol sui luoghi di lavoro e delle problematiche lavorative legate all'

abuso è un obbligo di legge dal 2001 (Legge n. 125 del 30 marzo 2001) ribadito nel testo unico della sicurezza del 2008. Nonostante i

chiarimenti e le linee guida riportate nell'intesa Stato Regioni del 2006 e nella circolare del gennaio 2009, la normativa non è tuttora

applicata in maniera uniforme e condivisa nel nostro Paese. Le diverse interpretazioni, spesso radicate su base regionale, riguardano se e

come individuare tra i lavoratori i soggetti affetti da dipendenze o se concentrarsi esclusivamente sul monitoraggio del rispetto della

norma che vieta l'assunzione di bevande alcoliche sui luoghi di lavoro. E' auspicabile quindi che medico, lavoratori e datore di lavoro

affrontino il problema con un approccio condiviso che vada dalla valutazione con gli strumenti diagnostici più aggiornati ed efficienti per

quanto riguarda il medico del lavoro a strumenti organizzativi e solidaristici che integrino l'azione del datore di lavoro con i lavoratori.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)