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Beve chi si sente abbandonato: i confini del disagio giovanile

cufrad news alcologia alcol alcolismo "Beve chi si sente abbandonato": parla un ragazzo che spiega malessere e delusione degli adolescenti

 "Beve chi si sente abbandonato"
Giovani e alcol in Sicilia: intervista con un ragazzo che spiega malessere e delusione degli adolescenti


Catania. «Purtroppo noi giovani cerchiamo rifugi perchè non abbiamo più nulla in cui credere, non abbiamo speranze, siamo spiazzati. C’è chi lo fa chiudendosi in se stesso, c’è chi cerca rifugio cercando qualcosa di diverso, qualcosa che magari per mezza serata lo rende allegro. Viviamo un una società malata, senza valori, siamo abbandonati a noi stessi e per questo gli alcolici diventano un rito. Colpa sempre di uno stato che cerca di guadagnare (e con l’alcol ci guadagna eccome, è un vero e proprio business) e non fa leggi serie in merito».


Salvo Chiarelli si è diplomato da qualche anno, è già, dunque, una generazione avanti rispetto a quella di cui si parla in questa inchiesta. Ma dal suo osservatorio ci regala un’analisi lucida, impietosa, precisa, magistrale.

 

Salvo, quando si sballa in piazza Teatro Massimo a Catania o in altre piazze della vita notturna siciliana, quando si finisce buttati a terra completamente persi, che rifugio si trova? E quando vedete i vostri amici in quelle condizioni che pensate?
«Devo dire che si pensano molte cose: c’è chi lo fa per divertimento, e lì si riflette sul fatto che è solo uno sciocco. C’è chi lo fa per dimenticare i problemi della vita, e lì si pensano molte cose sui problemi che avrà questo ragazzo. E si pensa se lo si può aiutare, facendo qualcosa per il suo bene. Bisogna creare qualcosa di diverso, bisogna fare rinascere la movida facendo capire che l’alcol non è un divertimento e che non si risolvono i problemi».


Ma il fatto che lo fanno undicenni è davvero preoccupante no? A quell’età cosa c’è da dimenticare? C’è tutto da costruire, no?
«Gli undicenni lo fanno per sembrare più grandi, più fighi. A quell’età non hanno nulla da dimenticare, perchè i problemi della vita non iniziano ad 11 anni. Per questo dico che c’è molto da costruire soprattutto con questa gioventù che sta crescendo».


In questa situazione di alcol e sballo diffuso tra chi è più grande, cioé ha magari già completato gli anni della scuola media superiore, c’entra il non sapere verso che futuro andate? Nella mancanza di lavoro che ostacola, per esempio, la creazione di una famiglia?
«C’entra molto, perchè si cerca il modo per dimenticare dei problemi, anche. C’è chi casca in depressione, c’è chi fugge dalle persone care perchè si vergogna di dire io non lavoro mi mantiene mio padre. C’è chi si alcolizza, chi si droga, chi non esce più di casa. Abbiamo paura di tutto noi giovani, siamo abbandonati a noi stessi da parte delle istituzioni che sono cieche e non si stanno rendendo conto di cosa hanno creato al di fuori dei loro palazzi. C’è solo la famiglia ad educarci e insegnarci cosa è giusto fare e cosa no. Abbiamo paura del futuro noi giovani e per questo motivo si cerca rifugio in qualcosa di diverso spesso sbagliando».


C’è una differenza enorme tra come eravate voi ventenni di oggi quando avevate undici anni e i ragazzini di oggi...
«Io a undici anni mi divertivo giocando con le macchinine, con i famosi carrioli, a nascondino sotto casa. A 14 anni la prima uscita, un gelato e alle 7 dovevo ritornare a casa. Ma i tempi sono diversi, colpa di molte cose. L’alcolismo è un fenomeno che deve essere combattuto ma allo Stato, ripeto, non conviene».
A. Lod.


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(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)