Sport: storie di depressione e di abuso di alcolici
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«Firmo con Memphis per volontà divina». Parole estive di "The Answer", Allen Iverson, campione tra i più controversi e amati dello sport americano, prima di legarsi ai disastrati Grizzlies. Poi però la volontà terrena ha preso una piega diversa. Le liti con coach Hollins, il contesto cronicamente perdente, il compenso annuo sotto i suoi standard. Risultato: «Non me la sento, meglio rescindere». I media d'oltreoceano non hanno perso tempo, tirando in ballo il suo status di "psicolabile", i trascorsi difficili fatti di risse, sparatorie e vita di ghetto e la sua emotività flebile. Ma è possibile che uno sportivo che ha raggranellato negli ultimi anni più di 200 milioni di dollari tra sponsor e contratti abbia problemi interiori? Pare di sì. Sport e depressione: un binomio che solo negli ultimi 15 giorni ha prodotto in Europa due suicidi, quello del portiere tedesco Enke e quello del pistard belga De Fauw. Nel calcio poi i casi si sprecano. Vieri vuole fuggirsene in Brasile per combattere la depressione post-spionaggio. Adriano in Brasile c'è tornato per salvarsi dall'alcolismo. «La vita del campione è dorata, ma in tanti sport si è sradicati dalla propria quotidianità, si sta in giro per il mondo e c'è tanta pressione: purtroppo non tutti la reggono» spiega Marisa Muzio, psicologa dello sport e presidente di Psicosport. Da Jordan a Tyson, da Maradona a Pantani: la storia dello sport è disseminata di situazioni di fragilità interiori e stati depressivi. «Quando poi i riflettori si spengono - prosegue la Muzio - diventa tutto più difficile. Il fenomeno è serio: ignorarlo è impossibile».