Depressione, lutti, eroina, alcol, farmaci... la mia vita in un buco nero... e poi...
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Depressione.
Parola che suscita paura, sospetto, anche una sorta di repulsione.
Depressione che fa calare un velo nero sul cuore e sul cervello e tutto diventa difficile, insormontabile, pauroso.
Non hai più voglia di niente, nemmeno di alzarti dal letto, di mangiare, di lavarti, di uscire.
Ti prende a 360° e ti intrappola in una ragnatela da cui è difficilissimo uscire.
Io stavo ore sul letto a fissare fuori dalla finestra, rincorrendo il solito pensiero di annullamento, di morte, di fine imminente.
Mi è successo di stare anche una settimana senza mangiare, solo bevendo, sempre di più, sempre più vino, per anestetizzare tutto il malessere che avevo dentro.
L'ho sentita forte dopo i vari lutti che mi hanno accompagnato.
Quello di mio marito, di mia madre, di mio padre.
Il senso di impotenza che si impossessa prepotentemente del tuo essere e ti schiaccia in un buco nero.
Difficile non far ricorso a farmaci, se non altro ansiolitici e sonniferi.
Poi piano piano il buio si dirada, ricominci a vedere la luce, ricominci come un bambino a camminare senza più paura per strada, incurante della gente, del traffico, dei suoni, dei rumori.
Ricominci piano piano a vivere.
Ma è stata dura, una lotta senza quartiere verso un nemico invisibile eppure sempre in agguato.
Basta mollare un attimo ed ecco che ricompare, in modo subdolo e strisciante e ti spinge inesorabilmente verso quel grande buco nero da cui sei faticosamente emerso.
Un paio di volte sono stata in clinica, ma non è questa la soluzione.
Ero anche intossicata di eroina e la mia vita giostrava intorno alla ricerca ossessiva del denaro e lo stare male, delle carenze.
Mi svegliavo in un bagno di sudore, nausea, dissenteria e il pensiero fisso ai soldi.
Come trovarli, dove trovarli. Una vita tutta incentrata sul buco e la sua attesa fatta di paure, ansie, incertezze. E trovare lo spacciatore giusto, quello che non ti fa il bidone, quello che ce l'ha buona.
Durante i periodi di infognatura ero assai depressa, non avevo più voglia di niente fatta eccezione che l'ago in vena.
Anche per il bere è stato un cammino duro e travagliato.
Dapprima negato come problema poi visto in tutto il suo orrore.
Piegata in due a vomitare il nulla che si placava solo bevendo e poi ancora bevendo.
Ricordo che aspettavo, alle sette della mattina, il rumore della saracinesca del negozio di fronte che si apriva per precipitarmi, barcollando, a comprare un paio di cartoni.
Così passa la nausea, passa il tremore e si può continuare la giornata nella ricerca di altri soldi e di altro alcol.
Anche in questo periodo la depressione era assai forte.
Non mi muovevo da casa, anzi dal letto, chiedendomi che ne sarebbe stato di me.
Finchè non sono rimasta bloccata su una sedia a rotelle per una polinevrite a causa dell'alcol.
Mi sono sentita sollevata che qualcuno si prendesse cura di me, lasciando tutti i problemi alle spalle.
La lenta, monotona vita dell'ospedale mi cullava come un balsamo dopo tanta sofferenza e momenti critici.
Bisogna trovare la forza di riappropriarsi della propria vita, dei propri affetti e sentimenti e andare avanti, nel bene e nel male, sottraendosi alle lusinghe delle sostanze e dei farmaci. Che tanto non risolvono nulla, anzi peggiorano la situazione e sei sempre punto a capo.
Oggi guardo con un certo distacco tutto ciò perchè ho trovato un maggior equilibrio e serenità con me stessa e il coraggio di guardare avanti con determinazione e fermezza.