Mi chiamo F., ho 41 anni e sono un avvocato con il problema dell'alcol ...
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2013-06-08 Mi chiamo F., sono un avvocato e ho 41 anni: li ho compiuti al CUFRAD.
Sono arrivata qui dopo 10 anni di alcolismo intervallati da periodi di astinenza.
Ho cominciato a bere da adolescente, ai tempi del liceo. Bevevo solo il sabato sera, ma già allora mi capitava di esagerare e di tornare a casa ubriaca.
A 22 anni ho conosciuto colui che è stato il mio compagno di vita per 10 anni, anche lui forte bevitore ma non alcolista.
Con lui e con i suoi amici tutte le cene erano innaffiate da vino, e proprio con lui ho cominciato ad amare il vino, a sceglierlo e a consumarne sempre di più.
Poi con il lavoro che facevo mi capitava spesso di andare a prendere un aperitivo con qualche collega di studio fino a quando, un giorno che non ricordo, cominciai a bere anche da sola, all'inizio solo la sera, ma con il passare del tempo anche durante il giorno.
Nell'estate del 2003 i miei genitori, essendosi accorti che spesso mi presentavo a casa loro già alterata, corsero ai ripari e mi fecero ricoverare in una clinica vicino a Torino. Trascorsi lì il mese di agosto e,una volta dimessa, ripresi a lavorare e a bere sempre di più.
Andavo a lavorare in pullman perché il mio compagno mi impediva di guidare e prima di entrare in studio passavo al bar e consumavo la prima vodka della giornata poiché se non lo facevo mi tremavano le mani; poi tutta la giornata era intervallata da tre-quattro puntate al bar fino ad arrivare la sera a casa sempre più ubriaca.
Anche a casa le bottiglie di superalcolici finivano rapidamente, e cominciai a nascondere la vodka per berla quando il mio fidanzato non c'era o andava a dormire.
Sul lavoro cominciai ad accusare i colpi: mi capitava a volte nel pomeriggio di addormentarmi sulla scrivania e, così facendo, il mio capo mi diede il benservito dicendomi di andarmi a curare.
Durante quell'estate cominciò una serie di ricoveri che mi portò a conoscere molte cliniche della provincia di Torino; stavo un mese, mi dimettevano, uscivo, tornavo a bere e a breve mi ritrovavo ricoverata. Ero ormai consapevole del mio problema ma non ero disposta a rinunciare alla bottiglia.
Persi anche il mio compagno, che dapprima mi era stato accanto, e nel maggio del 2005 il servizio di Alcologia che mi aveva in carico mi convinse ad entrare in una comunità.
In questo modo rispondevo alla volontà della mia famiglia ma non avevo certo rinunciato al bere; non appresi quasi nulla da quell'esperienza, forse non ero pronta, e abbandonai il cammino dopo sei mesi con la scusa che l'equipe ostacolava una relazione che avevo instaurato con altro utente. Uscii e la prima cosa che feci fu andare a bere. La relazione con l'altro utente continuò nonostante la mia ricaduta e nonostante il coma etilico che venne subito dopo; dimessa dall'ospedale e dalla clinica cominciò un periodo di astinenza, convivevo, lui lavorava ed iniziai a frequentare il CAT, Club degli Alcolisti in Trattamento. Nonostante l'astinenza il problema persisteva e ben presto ricominciai a bere di nascosto fino a quando nell'estate del 2006, il mio compagno telefonò agli amici del CAT informandoli della mia ricaduta e mi lasciò. Furono proprio gli amici del CAT, insieme alla mia famiglia, che si presero cura di me e mi indirizzarono all'ennesimo ricovero in clinica. Ne uscii rinata, convinta di non bere più e tornai a vivere con i miei genitori. Mio padre era molto malato e anche per lui decisi di smettere, per dargli un ultimo periodo di tregua; ci lasciò nel 2007 e io ormai non bevevo più e ripresi a lavorare in uno studio legale. Continuavo a frequentare il CAT e questo mi dava forza. Tutto andava bene ma, frequentando certi ambienti, le occasioni per bere erano sempre più frequenti e nell'autunno del 2008 ebbi una brutta ricaduta; mi licenziai e, spinta dal servizio di alcologia e da mio fratello, cominciai a frequentare un cento diurno per persone con problemi di alcol e droga.
Per circa 2 anni la mia vita si svolse tra quelle mura e quelle di casa di mia madre che mi seguiva passo passo. Dopo 2 anni di astinenza la mia insoddisfazione per la mancanza di un lavoro, che neanche cercavo, e di una vita affettiva cominciò a crescere e mi buttai nuovamente nell'alcol pensando di colmare così la mie mancanze.
Dopo qualche mese mi ritrovai di nuovo in coma e dopo 3 mesi trascorsi tra ospedale e cliniche sono approdata qui al CUFRAD con passaggio diretto. Qui ho cominciato un nuovo percorso di psicoterapia individuale dopo quello di terapia familiare intrapreso al centro diurno.
Questo percorso mi sta servendo molto, mi sta facendo raggiungere un maggior grado di consapevolezza della mia dipendenza ed una maggiore determinazione nel continuare.
So che la strada non è finita e so anche che fuori di qui le cose dovranno cambiare e proprio per questo sto analizzando il rapporto con mia madre e con tutta la mia famiglia che tanto ha avuto parte nella mia vita.
Quando mi sentirò pronta ad affrontare nuovamente la vita fuori da un contesto comunitario lo farò con propositi nuovi e con sempre maggiore volontà di cambiamento e di rinnovamento.