Mio padre mi disse:
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3013-06-06 Mio padre mi disse: "Io chiudo gli occhi sui soldi che spariscono e tu rispondi al telefono" ... visto che arrivavano telefonate di cui mia madre non doveva sapere nulla ... voci femminili che lo accusavano di fare le corna a mia madre ... Io ho accettato per comodo.
Sono Cristina... La mia storia comincia una trentina di anni fa col solito spinello, col solito gruppetto di amici. Perché non provare? E così fu la mia prima fumata con la musica ad altissimo volume e un senso di incredibile leggerezza.
Ne seguirono molte altre: tutte piacevoli e all'insegna del "chi se ne frega". Finalmente tutti i complessi, le frustrazioni e le inibizioni che mi avevano accompagnata fin dall'infanzia, ... svaniti, dissolti in una nuvola di fumo.
Sono stata una bambina timida e complessata da una sorella di un anno più grande di me e, a dir poco, "perfetta".
La mamma mi sembrava tutta per lei ... e a me solo gli scapaccioni perché ero testarda e pigra. Ero anche triste: ogni tanto mi saliva un groppo in gola e cominciavano a cadere lacrime su lacrime. Mi nascondevo perché mi sentivo profondamente sola e non capita.
Crescendo le cose non sono migliorate: mia sorella andava bene a scuola, io no, ma avevo i miei spinelli a tenermi compagnia ... così tanto che lo dissi a mo' di sfida anche ai miei genitori: "io fumo e non intendo smettere". Mille raccomandazioni a non passare a droghe più pesanti e qualche lacrima di mia madre. Invece, nonostante tutto, l'eroina è arrivata. Prima in punta di piedi: costava poco (all'epoca non avevo carenza) poi, in modo massiccio. E allora comincia l'incubo: trovare i soldi, sempre di più, lo sbattimento, le amicizie che cambiano, tutto il mondo gira solo più intorno alla "roba".
A 18 anni, messa alle strette dai miei genitori in quanto gli ammanchi dei soldi erano diventati sempre più ingenti, sono stata ricoverata per la prima volta in una clinica di Torino. Un incubo: niente metadone, niente di niente, solo tremenda, maledetta carenza. Poi passa... Esco e mi trasferisco a Chiavari con mia madre per finire il liceo in un posto tranquillo. Dò la maturità senza grossi problemi e torno a Torino. Poco tempo e la giostra ricomincia: roba, soldi, furti ... la solita solfa.
Mio padre decide di non volermi più vedere fatta e mi affitta una mansarda per conto mio. La libertà più totale! Il rapporto con mio padre è stato inquinato da una sorta di ricatto: "Io chiudo gli occhi sui soldi che spariscono e tu rispondi al telefono" ... visto che arrivavano telefonate di cui mia madre non doveva sapere nulla (!!!) ... voci femminili che lo accusavano di fare le corna a mia madre .... Io ho accettato per comodo, ma con un profondo senso di disgusto dentro. Ecco perché il rapporto con mia madre era quasi inesistente. Io la giudicavo troppo remissiva, troppo pronta ad accettare tutto dal marito, senza capirla: solo più avanti ho capito che aveva sempre fatto tutto in funzione dell'unità familiare, compreso accettare la presenza di una suocera dispotica e nevrotica. Solo quando siamo state io e lei da sole in Liguria ho finalmente recuperato un rapporto sano e affettuoso con lei, un rapporto che non è mai più finito.
Inizio poi a frequentare l'Università che, in realtà, mi serve solo per la toilette dove andare a farmi in tranquillità. Inizio a vendere hashish per pagarmi la roba, ma un giorno mi arrestano: 10 giorni da incubo nelle celle di sicurezza della Questura, poi il processo: 1 anno e 8 mesi con la condizionale. Nemmeno questo mi ferma.
Io e il mio ragazzo ci trasferiamo in Sicilia, e qui ricomincia tutto da capo: soldi, lavoro, roba, tanta roba. Inizia anche il problema dell'alcol, sempre di più: vino, aperitivi, tutto quello che capita. Continuo per anni finchè finisco in clinica a disintossicarmi: una volta uscita però ricomincio ... mi da sicurezza, forza, strafottenza e così continuo ... cartone dopo cartone. Mi ritrovo spesso al mattino piegata in due a vomitare bile finchè non riesco a ingurgitare un po' di alcol. Dipendenza negata più volte a mio padre che mi diceva di fare attenzione. Ma io ero sicura di dominare la situazione finchè ho riconosciuto in tutta la sua bruttezza di essere alcolizzata. La vergogna delle mani che tremano al banco del bar al mattino presto, mani che non riescono nemmeno a reggere il bicchiere senza rovesciarne metà, gli occhi della gente nel vedere una donna che beve senza ritegno. E poi tutto quello che bevevo a casa al riparo da sguardi indiscreti e colpevolizzanti. Mi vergognavo di me stessa, mi facevo schifo da sola, ma intanto continuavo fino a stordirmi e a non pensare più a nulla.
Altri ricoveri, fallimenti fino all'ultimo, forse il più doloroso. Ero uscita dal problema e da sola avevo trovato un lavoro, una bella casa ..., ma dopo un po' è ricominciata la storia. Roba, alcol, roba, amici di convenienza, amici di bottiglia o di buco e poi ognuno per la sua strada.
Continuavo a bere sempre di più e sono finita in ospedale perché cadevo per terra, io pensavo inspiegabilmente, e invece era il non mangiare, il bere, la roba.
Ora è un mese che sono qui al CUFRAD e va tutto bene.
Sembra lontanissimo il pensiero dell'alcol o della roba, ma è meglio stare in guardia (così mi insegna l'esperienza ...) e mi sento pronta ancora una volta a ricominciare a vivere una vita normale, fatta di piccole cose: un lavoro, una casetta, qualche amico vero.
Mi sento la vita in mano, mi sento di voler riprovare a vivere per l'ennesima volta. Mi rivolgo a mia madre che è in Cielo e le dico: "Mammina, da lassù mi vedi ... Quanto male ti ho fatto! Potrai mai perdonarmi? Spero tanto di si, comunque io ogni sera ti mando un piccolo bacio".