Dipendenze e falsi bisogni
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a cura della dr.ssa Costantini Sabrina
Dipendenze e falsi bisogni
Le dipendenze patologiche, come inteso fino a qualche decennio fa, si riferivano al legame insano con sostanze quali: alcool, droghe
naturali, droghe di sintesi, tabacco, cibo. Attualmente si sono aggiunte dipendenze quali: emotiva, da gioco d'azzardo, da internet, da
videogiochi, da cellulare, dal sesso, da denaro, da lavoro, shopping compulsivo, ecc.
Il concetto di dipendenza descrive il legame di sottomissione di un individuo, verso una persona o un gruppo, nonchè un comportamento adesivo e condiscendente, uno stato emotivo di prostrazione e autosvalutazione. A livello di personalità infatti, riscontriamo la mancanza d'autonomia e capacità decisionale, conseguenti ad un'idea di sé sminuita, identificata con una visione d'incapace, fragile, vittima bisognosa.
Questo tipo di sottomissione, può essere instaurato anche con oggetti e attività di vario tipo, con un andamento assai simile a quelle
descritto.
I criteri individuati dall'OMS (organizzazione mondiale della sanità) per la definizione di tossicodipendenza, si riferiscono a:
- desiderio incoercibile di continuare ad assumere la sostanza
- tendenza ad aumentare la dose (tolleranza)
- dipendenza psichica e talvolta fisica, dagli effetti della sostanza.
Come vedremo di seguito, anche i nuovi oggetti di dipendenza, per quanto diversi ed eterei, condividono le stesse caratteristiche
distintive, delineante dall'OMS. Per quanto possa suonare strano, queste nuove forme non sono poi così diverse dalle altre. Infatti, sono
tutte difficilmente eliminabili, risultano dannose a livello psicologico, fisico e sociale, sono accomunate da una stessa dinamica
intrapsichica e interpersonale.
La dipendenza inoltre, ci appare un classico esempio, di patologia culturalmente determinata. Se ci fermiamo un po', vediamo che le nuove
dipendenze infatti, per lo più nascono da bisogni indotti da una società postindustriale, altamente tecnologizzata e narcisista.
Anche Fain sostiene l'ipotesi che la tossicodipendenza sia una malattia della civiltà. La società dei consumi infatti, privilegia le
dinamiche proprie del narcisismo originariamente secondario (la fase evolutiva in cui gli investimenti del bambino sono mediati dalla madre).
In queste condizioni si creano "neobisogni", quindi nuove vie e maggiori occasioni di soddisfacimento, a spese del processo d'individuazione.
La società dei consumi, più d'ogni altra crea neobisogni a dismisura, mantenendo l'individuo ad uno stato di mancata autonomia.
La dipendenza da cibo, ovvero le patologie alimentari quali anoressia e bulimia, ad esempio sono totalmente assenti nelle nazioni, dove la
magrezza non è considerata una virtù. L'anoressia infatti, è tipica d'individui caucasici istruiti, di sesso femminile, economicamente
avvantaggiati e radicati nella cultura occidentale (Gabbard).
Del resto anche le droghe, creano dipendenza solo nel nostro contesto. Infatti, vi sono vari esempi di culture ed epoche diverse, in cui
assistiamo all'utilizzo di sostanze psicotrope, controllato e regolato nel tempo, nello spazio, con scopi ben specifici, quali l'uso
sciamanico a scopo divinatorio o guaritore, l'uso cerimoniale, ecc. (Harrison; Zoja).
Un altro esempio attuale ed esemplificativo è rappresentato dal computer, uno dei frutti del livello culturale e tecnologico, raggiunto dalla
nostra società ed è senza dubbio, uno strumento che avvicina persone, informazioni, luoghi, culture, rendendole accessibili a tutti. Una
risorsa dunque! Il suo utilizzo improprio però, può renderlo uno strumento distruttivo e spesso rappresenta un mezzo di potere, capace di
direzionare le persone e i loro bisogni.
Cito l'esempio di alcuni giochi, assai avvincenti e straordinari nella loro progettazione, nonché nella loro capacità di ammaliare e
incollare al video. Soffermiamoci sul loro significato psicologico. Alcuni di questi, suggeriscono l'illusione di avere una seconda chance
nella propria esistenza, di poter modificare le scelte fatte, di tornare indietro. Offrono la possibilità di avere una seconda vita!
Assolutamente fantastico e fantascientifico. Assolutamente falso e fuorviante.
Altri giochi forniscono l'illusione di poter partecipare a mondi a cui ci è negato l'accesso, di sentirsi qualcun altro, di compiere scelte e
azioni a noi estranee, ma tanto anelate. Pensiamo ad esempio alle possibilità fornite dai "giochi", che ci introducono nel mondo dello sport,
come attori protagonisti.
In verità ciò che ci accomuna, è che non ci sono seconde possibilità, né potere di scambiarci con qualcun altro. La vita va avanti e scorre,
non si può tornare indietro, né occupare poltrone, che non ci appartengono.
Ciò va bene, perché ci offre l'importante possibilità di imparare dalle scelte, giuste o meno che siano. Se avessimo ulteriori alternative,
non impareremmo niente, perché presi dal fare, ignoreremmo il significato, di quanto abbiamo già messo in atto. La vita e la nostra vita
emotiva, necessita di un giusto equilibrio fra azione e attesa, dialogo e ascolto, pieno e vuoto. Esattamente ciò che avviene nelle civiltà
primitive o in quelle più semplici e povere, attraverso la scansione ritualistica delle varie fasi di vita.
Ovviamente, in questo caso non è il gioco in sé ad essere sotto accusa, ma il suo utilizzo da entrambe le parti, di chi lo offre e di chi lo
utilizza. Del resto, il proponimento e la creazione di un adeguato teatrino di rappresentazione, rende ancora più allettante e ambiguo, tutto
ciò che viene offerto sul mercato.
Già l'estrema facilità con cui si accede a qualsiasi mezzo, costituisce un vantaggio ma anche uno svantaggio. Tutto ciò che è semplice,
rischia di diventare scontato, di non essere correttamente soppesato e quindi di essere frainteso. Semplice e accessibile è diventato
erroneamente, sinonimo di innocuo.
Un esempio, lo rintracciamo nella grande quantità di ragazzi diventati dipendenti da eroina, cocaina e hashish, in seguito alla loro facile
accessibilità. A conferma di ciò, gli esperimenti avvenuti in Svizzera negli anni '90, sulla liberalizzazione dell'eroina, hanno prodotto
analoghe conclusioni.
Quanto detto, è oltremodo vero per i mezzi quali il Pc, il cellulare, i video giochi, la TV, ecc. Tutto molto semplice, veloce e accessibile,
da essere estremamente ammaliante e desiderabile. Pensiamo ai nostri bambini! Sono impegnati, silenziosi, "accuditi", autonomi, non chiedono, non disturbano, non saltano, non fanno rumore, non hanno bisogno di nulla. Per loro l'accesso è semplice, privo di costo e senza sforzo. Per noi adulti è rassicurante, utile, deresponsabilizzante.
Capita quindi che, quanto può costituire uno strumento di lavoro, di comunicazione o semplice spazio ludico, si trasforma in bisogno
smanioso, in necessità, urgenza di vita, droga! "Come se" non si potesse più farne a meno, pena la propria identità, la propria
sopravvivenza, il senso della propria vita.
Sempre più spesso infatti, le persone e ancor peggio i giovanissimi, trascorrono molte ore della propria vita su internet, non ad informarsi,
aggiornarsi, ecc, ma a "vivere la propria vita"! Ho già citato i giochi che propongono false chimere. Aggiungiamo le chat, messenger, blob,
ecc., vissuti troppo spesso come unico spazio di socializzazione, privo di rischi e di contaminazione. Ma cosa succede se questi giovani non
vivono la vita vera, nell'incontro-scontro con l'altro? Una vita relazionale fatta di rossore, vergogna, sguardi, turbamenti, gaff, paure,
rischi, incontri, scontri, emozioni, cose che accadono fra due o più persone, che sono reali, si vedono e toccano con tutti i sensi e con il
corpo tutto intero.
Il Pc così come il cellulare con i suoi SMS, offrono la possibilità di una comunicazione veloce, facile, indolore, ma affamata e avara. E'
come per l'anoressica, che si illude di poter vivere senza il proprio corpo, senza tener conto dei suoi bisogni. Parimenti, questi mezzi di
comunicazione, se abusati e resi esclusivi, diventano "anoressizzanti", asocializzanti, disumanizzanti. Perché evitano il contatto diretto,
la conversazione vis a vis, la comunicazione chiara e diretta, evitano il coinvolgimento di ogni parte di noi. Infatti, risultano impegnati
solo alcuni organi e alcune parti cognitive (la vista, il tatto meccanico, il ragionamento razionale), ma il resto è escluso. Pensiamo a
tutti i segnali non verbali che vengono persi, le sensazioni somatiche, quelle termiche, olfattive, tattili, cinestesiche, le intuizioni, le
impressioni, quindi tutto ciò che rende viva la relazione, che ne fa un vero scambio, perché fa vibrare e stimola tutta una serie di
risposte: emotive, cognitive, razionali, istintive, organiche, comportamentali.
Questi mezzi suggeriscono l'illusione di avere molte amicizie, di avere partner di comunicazione, di scambio emotivo, ecc. Ma cosa conosciamo realmente dell'altro, in questo modo? Cosa conosciamo di noi stessi, evitando di confrontarsi in modo diretto?
Un giorno mi è arrivato un Sms, da un numero per me sconosciuto, citava all'incirca "sono una ragazza di 18 anni e sto cercando amici". E'
assolutamente orripilante, assurdo e assai triste che una ragazza di 18 anni, che dovrebbe essere piena di vitalità, voglia di esplorazione,
di vivere, di uscire, scorazzare col motorino, debba ricorrere ad un tale stratagemma, per avere qualcuno con cui dialogare o ritenere amico.
E' assai triste e fuorviante! Eppure questa è una delle chimere, fornite da questo mezzo.
Aggiungiamo un'altra caratteristica del cellulare, ovvero l'annullamento del tempo di attesa, sicuramente ansiogeno, ma altamente
fortificante ed edificante. L'attesa è un tempo e uno spazio, è la riflessione, che introduce distanza fra desiderio, intenzione, difficoltà,
frustrazione e la relativa azione risolutiva. Col cellulare, in qualsiasi momento possiamo rintracciare le persone con cui vogliamo
comunicare, discutere, litigare, vendere, comprare, ecc. Non aspettiamo più di vederci e incontrarci, comunichiamo attraverso una scatola,
ogni volta che ci va, ogni volta che abbiamo un attimo libero o contemporaneamente ad altre azioni (guidare, camminare, cucinare, ecc.),
disimparando o non imparandolo mai, il tempo di attesa e riflessione, tanto saggio ed evolutivo.
Sempre più, viviamo in un mondo che ci fornisce la possibilità o meglio l'illusione, di vivere nell'ottica del "tutto o niente", tipica del
tossicodipendente, che non tollera frustrazione e procrastinazione. Crediamo di essere esonerati dal chiedere direttamente, dal discutere
faccia a faccia, dall'affrontare i problemi e le persone, dal vivere pieno e sconcertante.
Queste esperienze mancate però, creano dei buchi emotivi e delle conseguenti disarmonie nell'identità, assai destrutturanti e rischiose. L'
esperienza concreta, con le sue difficoltà, paure, incertezze, ecc., è fondamentale nel processo costruttivo dell'identità. Il bambino, poi
l'adolescente e il giovane adulto, hanno bisogno di sperimentarsi direttamente, di confrontare l'idea che si sono formati della realtà, la
relativa aspettativa e l'effettiva realtà. E' essenziale mettersi alla prova nelle varie situazioni, con persone diverse, in circostanze
diverse, in momenti diversi. Il mondo virtuale ed etereo in cui si è così facilmente immessi, distanzia dal vero vivere a favore di un "falso
vivere", retto su ipotesi, fantasie, rappresentazioni, comunicazioni parziali.