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Karolinska Institut di Stoccolma: i rifugiati più esposti al rischio di psicosi

 Karolinska Institut di Stoccolma: i rifugiati più esposti al rischio di psicosi

I rifugiati più esposti al rischio di psicosi

In agguato potenziali schizofrenie: probabilità maggiore del 66% rispetto agli altri migranti causa delle avversità vissute


Non solo depressione e disturbo post traumatico da stress. Le avversità che i rifugiati devono affrontare li esporrebbero ad un maggior rischio di sviluppare anche disturbi psicotici, come schizofrenia e psicosi non affettive. A dirlo è un ampio studio condotto dai ricercatori del Karolinska Institut di Stoccolma e dell’University College of London appena apparso sul British Medical Journal, secondo il quale i rifugiati (i residenti con asilo ) in Svezia hanno un rischio più che triplicato (3,6 volte) di diagnosi di schizofrenia e di altre psicosi rispetto alla popolazione nata nel paese e hanno un rischio maggiore del 66% rispetto agli altri migranti provenienti dalle stesse regioni geografiche. 

 

I rifugiati sono particolarmente vulnerabili ai disturbi mentali proprio a causa dei traumi subiti in patria come torture, guerre, violenze, come ben sanno i medici e gli operatori sul campo e come già evidenziato da altri studi. Poco era noto invece sul rischio i sviluppare psicosi, come sottolineano gli autori dello studio svedese citando uno studio danese che però si era limitato a considerare la popolazione di rifugiati senza alcun confronto con gli altri migranti .

 

La condizione di rifugiato è definita dalla convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite, nel cui articolo 1 si legge che il rifugiato è una persona che «temendo a ragione di essere perseguitato (…) non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese». I migranti sono tutti gli immigrati che risiedono in Svezia con un permesso di residenza, senza esser perseguitati in patria.

 

Lo studio è stato condotto in Svezia su 1 milione e 300 mila persone, tutti nati dopo il 1 gennaio 1984, seguiti a partire dal loro 14 ° compleanno o dalla data di arrivo in Svezia, se successiva, e fino alla diagnosi di un disturbo psicotico, all’emigrazione, alla morte o comunque fino al 31 dicembre 2011. I dati utilizzati sono stati ottenuti dallo Psychiatry Sweden, un database del Registro Nazionale Svedese.

 

Ebbene, l’analisi mostra che a ricevere una diagnosi di psicosi è oltre un rifugiato su mille. Inoltre, ogni 10mila persone le nuove diagnosi sono 4 tra gli svedesi, salgono a 8 tra i migranti che non richiedono asilo e arrivano a 12 tra i rifugiati. Inoltre, considerando cinque grandi aree geografiche (Africa subsahariana, Asia, Europa dell’Est, Medio Oriente e Nord Africa), i ricercatori hanno visto che, rispetto ai migranti provenienti dalla stessa regione, i rifugiati hanno il 66% di probabilità in più di ricevere una diagnosi di psicosi. Questa evidente maggior vulnerabilità rispetto agli altri migranti, scrivono gli autori, sarebbe da attribuire al fatto che «coloro ai quali viene concesso lo status di rifugiato più probabilmente hanno vissuto conflitti, persecuzioni, violenze o altre forme di avversità psicosociale come traumi, abusi, discriminazione e isolamento».

 

Queste cifre suggeriscono che le condizioni ambientali possono influire non solo sulla malattia mentale ma anche sulla comparsa di disturbi psicotici e che le singole esperienze, come l’aver vissuto persecuzioni, disastri naturali o guerre, possono contribuire al rischio di sviluppare queste malattie. 


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.lastampa.it/2016/03/16/scienza/benessere/i-rifugiati-pi-esposti-al-rischio-di-psicosi-X9fGiy063DSHp3OvHpZv3M/pagina.html

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)