Pre-venire la tossicodipendenza, pro-muovere il pensiero
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"E' necessario che a scuola si parli di droga in modo analitico, determinato, scientifico e perfino filosofico, in modo che
i giovani sappiano che cosa assumono, che effetto fa, che danni procura, che piacere promette e da che visione del mondo
scaturisce" - U. Galimberti, L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007.
La scuola come luogo della prevenzione
Il problema della prevenzione delle tossicodipendenze nella scuola è di grande attualità e rilevanza. Il consumo e l'abuso di
sostanze stupefacenti è in costante aumento tra i giovani e riguarda fasce d'età sempre più precoci. La droga è un problema
diffuso e grave del mondo giovanile, di fronte al quale la scuola non può e non deve rimanere indifferente: Non è possibile
esistano problemi dei giovani che non siano anche della scuola, soprattutto quando la si voglia intendere nelle sue tre
componenti: insegnanti, genitori e studenti.
Per la scuola, dunque, non si tratta tanto di discutere se debba o no occuparsi del fenomeno della tossicodipendenza, semmai
di come se ne debba occupare. (Cfr.: V. Andreoli, La testa piena di droga, Milano, Rizzoli BUR, 2008, p. 518.)
Partiremo quindi dal presupposto che occuparsi di droga in ambito scolastico sia una necessità: non solo nella scuola
superiore, bensì a partire dalle ultime classi della scuola elementare e nelle medie inferiori - laddove i giovani vivono
quell'età fragile e di trasformazione che è la prima adolescenza, un periodo in cui il gruppo di amici spesso mette nella
condizione di dover scegliere se consumare o meno tabacco, alcool, marijuana, che sono le prime droghe con cui i ragazzi
vengono in contatto.
Il rischio della tossicodipendenza è innegabilmente molto alto per la popolazione scolastica e - attraverso lo strumento che
le è proprio, lo strumento educativo - la scuola può incidere realmente nella prevenzione del fenomeno.
Che cosa significa pre-venire
Pre-venio (lat.), vengo prima. Prevenire significa arrivare prima ed agire in maniera tale da rimuovere o almeno da ridurre
il rischio che qualcosa accada.
Prevenire la tossicodipendenza significa venire prima di lei, prima che si sia verificata. Significa inoltre agire sui
fattori di rischio favorenti il consumo e l'abuso - che, ripetuto, genera dipendenza - di sostanze psicotrope a scopo non-
terapeutico.
Credere nella prevenzione significa credere che sia possibile arrivare in tempo e che sia possibile farci qualcosa. Credere
nella prevenzione è credere che alcuni fattori di rischio possano essere individuati e modificati.
C'è di più. Quando la prevenzione sia calata nella scuola, la prevenzione si realizza attraverso l'educazione. Credere nella
prevenzione diventa allora fiducia nella possibilità di educare prima, di educare in tempo. Laddove educare non significa
semplicemente informare, fornire delle nozioni.
Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino e-ducere che significa letteralmente
condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto.
L'educazione passa attraverso l'informazione ma non si riduce ad essa. L'informazione è un mezzo fondamentale dell'
educazione, la quale è però un processo complesso che promuove la fioritura globale del giovane.
E' così che la prevenzione non può prescindere da una pro-mozione (lat., muovere avanti), da uno sviluppo cioè delle capacità
critiche, intellettuali, etiche ed emotive degli studenti cui si rivolge.
Fattori culturali coinvolti nell'abuso di sostanze psicotrope
Per prevenire educando, è certamente importante - anzi fondamentale - fornire agli studenti del materiale informativo da
apprendere, ma ciò non basta: è altrettanto essenziale insegnare loro a riflettere. In questo caso, si tratta di insegnare a
riflettere sulle droghe (e sull'alcol) e sui loro effetti psicologici, fisici e sociali. Ma soprattutto si tratta di
insegnare a riflettere su se stessi, sul proprio rapporto con la possibilità dell'uso - ormai purtroppo assai diffuso nel
mondo giovanile - delle sostanze stupefacenti e sul rapporto che con essa ha il gruppo di amici.
Sul ruolo giocato dall'età, dal bisogno di essere riconosciuti dal gruppo dei pari, di non restare "soli" e di avere degli
amici in relazione alla decisione fondamentale se fare o meno uso di stupefacenti. Sulla questione davvero delicata del
sentire di "aver bisogno di un aiutino" per legare, per stringere amicizie, per divertirsi ad una festa, per tirarsi su il
morale. Sul significato stesso del divertimento e della trasgressione. Sulla necessità di non pensare ai problemi e di
rimandare - almeno per qualche serata -la necessità di risolverli o il flusso delle idee e delle angosce ad essi legate. In
una sola espressione: è necessario dar modo agli studenti di riflettere sulla visione del mondo che sta dietro al desiderio
dello sballo. In questo modo, non ci si concentra semplicemente sulle conseguenze nefaste cui conducono il consumo e l'abuso
di droghe, ma finalmente sulle cause:...solo allora la droga può apparire per quello che è: non una dipendenza ormai diffusa su
larga scala nel mondo giovanile e non solo, ma un sintomo, se non addirittura un tentativo disperato di rimedio a un disagio
che pare impossibile poter sopportare.(Cfr.: U.Galimberti, L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano,
Feltrinelli, 2007, p.76.)
E' necessario dunque mettersi noi per primi in gioco, e domandarci insieme ai ragazzi:
- Ci sono situazioni che rendono "giustificabile" l'uso di sostanze stupefacenti (per es. la spinta di un gruppo e il
desiderio di integrarsi)? Oppure esse si configurano solamente come delle "scuse"?
- Che cosa significa "amicizia"? Farsi degli amici deve necessariamente passare per l'uso di droghe? E ancora, quelli con cui
condividiamo principalmente l'uso di droghe possono definirsi veri "amici"?
- Ci sono delle alternative alle droghe che possano fare da "leganti" per un gruppo (lo sport, la musica...)? Sono leganti
migliori o peggiori delle sostanze psicotrope?
- Cosa vuol dire "divertimento"? Per divertirsi è necessario ottundere la coscienza?
- Che tipo di "piacere" si ricerca con l'uso di droghe? Quale piacere cerchiamo nella marijuana, quale nell'ecstasy, quale
nell'eroina, quale nella cocaina?
Qual è il bisogno sotteso all'uso sempre più diffuso di cocaina e, in sua mancanza, al ricorso a psicofarmaci più o meno
stimolanti? Abbiamo così bisogno di tono, di prontezza di prestazioni al massimo dell'efficienza che non ci facciano sentire
la stanchezza, lo sforzo, la fatica? Oppure siamo così depressi che, senza quella sostanza o i suoi sostituti, non sapremmo
essere all'altezza di quanto gli altri da noi si attendono o noi stessi pretendiamo da noi? E infine di che genere è quella
depressione che spinge senza esitazione tanti giovani e non all'uso frequente e spesso incontrollato di questa sostanza?
(Cfr.Ivi, p. 80)
- Che cos' è la "trasgressione"? Derivando da trans-gredior (lat. "andare, passare oltre"), dovrebbe indicare la capacità di
oltrepassare la norma. Ma la droga è ancora un tabù? O si avvia a costituire una "moda"? E se la trasgressione poi mi rende
schiavo e diventa la mia norma...?
- E' lecito quando si hanno dei problemi cercare semplicemente di "dimenticarsene" e così rimandare il momento di
affrontarli?
Tutte queste domande sono profondamente filosofiche ed investono problematiche ampie, di carattere esistenziale, etico e
culturale. Culturale sì, perché se è pur vero che ad ognuno di questi interrogativi ciascuno potrà elaborare risposte
differenti - a seconda della propria sensibilità, del proprio modo di interpretare la realtà e di vivere le relazioni, della
propria biografia o dell'educazione ricevuta in famiglia - , tuttavia in ciascuno la cultura di appartenenza giocherà
sotterranea un ruolo fondamentale.
L'abilità di chi intende prevenire educando, dovrà quindi essere multiforme: si impegnerà a suscitare le domande, dovrà saper
dare voce e spazio alle diverse risposte mettendole inoltre in dialogo reciproco, si indirizzerà poi a far emergere le
contraddizioni insite in alcuni ragionamenti, compresi quelli che hanno a che fare con "il modo comune di pensare e/o di
comportarsi" (cioè con la cultura, appunto).
In modo particolare va considerato che - al di qua del problema dell'abuso e della tossicodipendenza - , c'è il problema
della difficoltà che i giovani (ma anche gli adulti) incontrano nel mondo di oggi: sovente non si sentono sufficientemente
chiamati in causa, avvertono profondamente la propria inadeguatezza alla richiesta di efficienza e di flessibilità del mondo
che li circonda, capita che disperino del futuro. Né la famiglia e la scuola spesso riescono più ad essere per loro adeguati
punti di riferimento. Incapaci di individuare un sereno tracciato lungo il quale costruire la propria identità o punti di
riferimento stabili da erigere a norma del comportamento, ad un certo momento i ragazzi preferiscono ricorrere - per dir così
- alla magia: un colpo di bacchetta e la droga copre con un velo di effimero piacere ciò che non va. Nessuno del resto ha
insegnato loro a fermarsi un momento, a non correre subito a zittire la sofferenza con l'uso di un farmaco, ad interrogarla e
a interrogarsi. La droga diventa allora la cura totale, il rimedio che permette di non adattarsi, l'anestesia che ci esenta
da qualsiasi preoccupazione. Salvo poi rovinarci la vita. (Cfr.: Per un approfondimento, oltre al già citato saggio di U.
Galimberti, si veda anche il mio "Non solo terapie. Un approccio filosofico alla tossicodipendenza", ProgettoUomo, 27
Febbraio 2009)
Secondo J. P. Sartre il comportamento magico è quello cui ricorriamo nel momento in cui vediamo intorno a noi solo problemi e
nessuna soluzione:
Quando le vie tracciate diventano troppo difficili o quando non scorgiamo nessuna via, non possiamo più rimanere in un mondo
così pressante e così difficile.
Tutte le vie sono sbarrate, eppure bisogna agire. Allora tentiamo di cambiare il mondo; cioè di viverlo come se i rapporti
delle cose con le loro potenzialità non fossero regolati da processi deterministici, ma dalla magia. (Cfr.: J.P.Sartre,
Esquisse d'une théorie des émotions, Paris, Hermann, 1939; trad.it. di A.Bonomi, L'immaginazione. Idee per una teoria delle
emozioni, Milano, Bompiani, 1962, pp. 176-177)
La droga fa proprio questo: cambia la nostra percezione e ci mostra il mondo privo di ostacoli, magicamente libero da
difficoltà e sofferenze. L'eroina è un sedativo che rende il mondo meno doloroso, la cocaina un'eccitante che lo fa più
stimolante e meno faticoso, l'ecstasy modifica l'attività percettiva rendendolo più "comunicativo". E tutto questo senza che
io mi debba realmente impegnare per far fronte al dolore, per sostenere la fatica, per trovare la sintonia con gli altri e
comunicare in modo significativo con loro.
Cura in tedesco si dice Sorge, e Freud, dopo aver fatto uso per diverso tempo di cocaina, chiama la droga Sorgenbrecher, ciò
che consente di "scacciare i pensieri", di non "prendersi cura" e, come lui stesso scrive, il più antico rimedio contro il
disagio della civiltà. (Cfr.: U. Galimberti, op.cit., p. 67)
Sollevandomi dal compito di prendermi cura del mondo e di me stesso in rapporto al mondo e agli altri, le droghe mi regalano
un mondo più facile e apparentemente anche più felice.
Ma già Sartre aveva ben messo in luce il pericolo insito nella magia: che la coscienza cioè diventi schiava del proprio gioco
e non riesca più ad uscirne. Per questo Sartre definiva la coscienza magica envoûtée , cioè "stregata", "incantata",
"prigioniera".
Ciò è eminentemente vero quando l'incantesimo è ottenuto attraverso l'uso di sostanze. Gli effetti psicofisici delle droghe,
infatti, quando conducono a stati di tolleranza e di dipendenza, fanno sì che l'esistenza incantata sia infine del tutto
incatenata all'oggetto magico. Schiava.
Maddalena Bisollo
Dottoressa in Filosofia e Counselor Filosofico, operatrice presso la Pronta Accoglienza del CeIS "Don Milani" di Mestre (VE).
A partire dal 2006 ha realizzato diversi progetti di natura filosofico-formativa in ambito didattico, rivolti sia agli adulti
sia agli adolescenti. Ha svolto inoltre attività di counseling filosofico individuale e di gruppo nel contesto sociale e
delle dipendenze, esperienza da cui sono nate alcune pubblicazioni.