Scrittori famosi schiavi di alcol e droga
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Sulle TV e sui giornali nazionali impazza il "caso Morgan": l'ex frontman dei Bluvertigo è stato escluso dal Festival di Sanremo dopo aver dichiarato in un'intervista:
"La droga apre i sensi a chi li ha già sviluppati, e li chiude agli altri. Io non uso la cocaina per lo sballo, a me lo sballo non interessa. Lo uso come antidepressivo. Gli psichiatri mi hanno sempre prescritto medicine potenti, che mi facevano star male. Avercene invece di antidepressivi come la cocaina. Fa bene. E Freud la prescriveva. Io la fumo in basi (modalità di assunzione nota come crack, ndr) perchè non ho voglia di tirare su l'intonaco dalle narici. Me ne faccio di meno, ma almeno è pura. Io non ho mai conosciuto nessuno che ci sta dentro come me a farsi le basi. Ti sembro uno schizzato? No. E invece ora sono completamente fatto. Ne faccio un uso quotidiano e regolare".
Da questo episodio ha avuto origine un altro festival, rappresentativo della nostra cultura nazionale almeno quanto la kermesse sanremese: il festival dell'ipocrisia. Processo in TV da Bruno Vespa, pentimento, strali di pubblici accusatori tossicologicamente più dubbi di Morgan, negazione, raffiche di «sono stato frainteso» e «imboscate giornalistiche» di berlusconiana memoria, dibattiti sull'esempio da dare ai ciòvani e ai pimpi, contrizione, prese di coscienza un tot al chilo e infine il perdono e la probabile riammissione al Festival. Dopo di che ciascuno potrà continuare a sfondarsi di crack liberamente, basta che stia zitto, come tutti.
Manco a farlo apposta, mentre in Italia impazza il dibattito da oratorio, sul sito di Life è stata appena pubblicata una galleria fotografica dedicata alle dipendenze di ben 36 scrittori, un elenco sterminato che va da Charles Baudelaire (alcol e oppiacei) a William S. Burroughs (eroina), da Edgar Allan Poe a Dorothy Parker (alcol entrambi), da Jack London a Ernest Hemingway a Stephen King (che raccontò di aver pippato talmente tanta coca da dover lavorare coi tamponi nel naso per non spruzzare sangue sulla tastiera) a Hunter S. Thompson a William Faulkner a Charles Bukowski, etc.
Ciascuna foto d'artista è accompagnata da un elogio della rispettiva dipendenza: da Jean Cocteau - «fumare oppio è come buttarsi da un treno in movimento» - a Truman Capote - «sono un alcolizzato, sono un tossicodipendente, sono un omosessuale, sono un genio» - a Raymond Chandler - «l'alcol è come l'amore. Il primo bacio è magico, il secondo è intimo, il terzo è routine» - a tanti altri. Praticamente tutta la cultura letteraria anglosassone del secolo scorso, il cui pilastro concettuale e morale è senza dubbio la libertà individuale, è fondata orgogliosamente sull'alcol e sulle droghe pesanti. Chi glielo spiega ora a Bruno Vespa?