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Abuso di alcol e infertilità: correlazioni

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In Italia il tasso omogeneo di infertilità è del 35,4 per cento attribuibile ai maschi e del 35,5 per cento appannaggio delle donne. E così, la diagnosi riguarda la coppia che non è riuscita a concepire e le cause che ritardano o cancellano l'aspirazione a diventare genitori sono varie
Il limite è compreso tra i dodici mesi e i due anni. Dopo, scatta l'infertilità. Maschile o femminile che sia, la diagnosi riguarda la coppia che, pur avendo avuto in questo lasso di tempo rapporti continui e non protetti, non è riuscita a concepire. Ma l'infertilità non è un verdetto visto che, spesso, a differenza della sterilità, non è conseguenza di patologie irreversibili. Di questi temi si discute al congresso nazionale della Società italiana di Endocrinologia che, presieduto da Gianni Forti, ordinario a Firenze, si conclude sabato a Sorrento.
I dati del Registro nazionale sulla Procreazione medicalmente assistita rivelano che in Italia il tasso omogeneo di infertilità è del 35,4 per cento attribuibile ai maschi e del 35,5 per cento appannaggio delle donne. Se la responsabilità è di entrambi (fattore maschile/ femminile), si arriva al 15 per cento, mentre l'infertilità idiopatica (di cui non si conosce l'origine) si aggira intorno al 13,2 per cento. Le cause che ritardano o cancellano definitivamente l'aspirazione a diventare genitori sono diverse. Dalle più comuni dovute a stili di vita errati (abuso di alcol, droga, fumo e inquinamento) fino all'età troppo avanzata. La possibilità di procreare è direttamente proporzionale al periodo più fertile che, per una donna, è tra i 20 e i 30 anni. Il trend rimane abbastanza alto sotto i 35, per diminuire gradualmente fino ai 40 e diventare basso tra la quarta e la quinta decade. A differenza degli spermatozoi, i gameti della donna invecchiano insieme al suo corpo e non si rinnovano. Una senescenza che compromette l'eventuale gravidanza per malattie comuni (ovariti, patologie tubariche e endometriosi).
D'altronde, più la futura mamma è anziana, più l'ovocita è a rischio di alterazioni cromosomiche. E così, se uno su 2000 bimbi Down nasce da ragazze di 20 anni, uno su 900 è concepito da donne di 30 anni, uno su 350 da over 35 enni, uno su 110 è messo al mondo da 40 enni e uno su 25 da coloro che hanno superato i 46 anni. L'uomo è parzialmente risparmiato dall'aggressione del tempo, ma i suoi spermatozoi col passare degli anni peggiorano, in quantità e qualità. Vuol dire che sono meno mobili e che possono presentare più anomalie genetiche. Con la differenza che le cellule maschili si rinnovano continuamente, con una periodicità di circa 120 giorni. «La diagnosi di infertilità negli uomini è diventata molto frequente», rivela Annamaria Colao, l'ordinaria di Endocrinologia alla Federico II di Napoli che, insieme ai colleghi Forti, Andrea Lenzi, Antonio Bellastella, Carlo Foresta, Giancarlo Balestra e Gaetano Lombardi ha coordinato la consensus conference sul tema, «ma il ritardo con cui si scopre questa patologia è anche conseguenza di una visita medica militare ormai cancellata. La diagnosi precoce fatta a vent'anni era fondamentale perché consentiva un precoce approccio terapeutico».
I dati che riguardano gli aspiranti papà rivelano che il 50 per cento dell'infertilità è idiopatica, mentre l'altra metà è conseguenza di cause organiche: ipogonadismo (scarso sviluppo e funzione delle gonadi) a gonadotropine elevate nel 10 - 20 % dei casi (le gonadotropine sono gli ormoni che stimolano ovaio o testicolo a produrre le cellule gametiche indispensabili alla riproduzione); ipogonadismo a gonadotropine basse nel 3-4 per cento. Rimane un'ampia fetta che riconosce altre malattie: tumorali, traumatiche o infettive del testicolo