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ACAT: una mano tesa agli schiavi della bottiglia

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Una mano tesa agli schiavi della bottiglia

L’hanno chiamata “Il Ponte”, perché vogliono accompagnare chi si affida a loro nel passaggio da una sponda a un’altra, da una vita fatta di dolore a una di ritorno alla normalità. Sono i volontari galluresi dell’Acat, l’associazione dei club degli alcolisti in trattamento. Che in Provincia si occupano di un centinaio di famiglie alle prese con un problema da sempre sottovalutato. Spiega il presidente Federico Pani: «Il club è una comunità di famiglie che hanno problemi legati all'alcol, può essere composto anche solo da un paio di nuclei. Al lorointerno opera la figura del servitore-insegnante, professionista o volontario, comunque un volontario con una formazione acquisita con un corso di 50 ore e i corsi di aggiornamento. Quando si raggiunge un certo numero di club nasce l'Acat, in Gallura è supportata da “Il Ponte”».

Problema trasversale. Spiega Sandro Trudu, uno degli insegnati: «Le medicine? Il conforto, l'amicizia, il sostegno reciproco, la possibilità di relazionare e non sentirsi giudicati, la riservatezza. E non essere considerati malati, ma persone che devono cambiare stile di vita». «Evitiamo sponsorizzazioni intromissioni di carattere politico – dice Annamaria Pileri –: l'alcol è un problema apartitico. E non è razzista: a noi si rivolgono anche molti stranieri. Tra le persone in trattamento abbiamo medici o avvocati ma anche gente che sa appena leggere, di ogni età». Di fatto non c'è un limite vero di durata. Tra i volontari ci sono le professioni più disparate. Come Antonella Panzitta, assistente sociale specialista del Serd, aperto nel ’92 e al cui interno operano le equipe di alcologia che seguono con approccio multidisciplinare le famiglie con problemi alcolcorrelati.

La porta girevole. «Nel ’93 è nato il primo club a Olbia – racconta la Panzitta– . Inizialmente ci siamo resi conto che chi aderiva al programma di recupero dall'alcoldipendenza in realtà non cambiava veramente lo stile di vita complessivo, alla fine si trattava di un percorso che viene definito della “porta girevole”, dato che portava a ricadute. Sostanzialmente si puntava su una cura farmacologica. Ma sapevamo che ad Abbasanta, e poi in seguito a Senorbì, veniva seguita una metodica senza farmaci, quella di Hudolin, psichiatra croato, che invece funzionava e che abbiamo adottato. E non prevede uso di farmaci. Ebbene, una ricerca Cnr afferma che il 75 % delle persone mantiene la sobrietà a distanza di 5 anni. ».

Famiglie in trattamento. Hudolin è fondatore dell'approccio ecologico-sociale: «Nel senso – dice Trudu – che fa leva sull'ambiente, perché il problema non è mai di una sola persona. Così si coinvolge è tutta la famiglia che frequenta il club e si impegna a non tenere alcolici in casa e non fare uso di sostanze alcoliche. Tra le regole anche puntualità, costanza e riservatezza». La Pileri sottolinea che «nell’associazione non ci sono né poteri né soldi solo pochi spiccioli per le spese. Una sorta di servizio “evangelico”, non paghiamo nulla per essere ospitati nelle sedi. Ci autofinanziamo ad esempio con il “chiosco analcolico”, nel quale diamo anche dei messaggi, ad esempio nelle festa di San Simplicio». All'inizio non erano ben visti, come fossero dei guastafeste, così venivamo isolati: «C’erano resistenze di tipo culturale: l’alcol è considerato un sistema per socializzare, il divertimento è automaticamente associato al bere. Resistenza poi cessata».

Una droga che non fa notizia. A chi si rivolge l’Acat? Risponde Trudu: «Ai cosiddetti “bevitori” responsabili, perché è dal loro cilindro che viene fuori la percentuale di alcolisti. Gli studiosi ci dicono che l'alcol è in tutto e per tutto una droga e che è estremamente pericoloso. E i numeri parlano chiaro: in media 700 persone all'anno in Italia muoiono per motivi legati agli stupefacenti, ma non fanno notizia le 25-30 mila vittime dell'alcol. Per non parlare di incidenti, omicidi e ferimenti correlati. Ci sono interessi economici». La dipendenza, rispetto a quella da droga che ha effetti pressoché immediati, ha un progresso anche di 20-30 anni, afferma la Panzitta: «Spesso però le famiglie se ne rendono conto quando il congiunto non si regge in piedi, non va a lavorare. L'assenza del lunedì è un classico».

Alcol, importante conoscerlo. Ci sono anche famiglie che rifiutano di collaborare: i solito si trincerano dietro il concetto che “il problema non è loro”. Ma di fatto non è così. I responsabili dell'Acat “Il Ponte” precisano di non essere proibizionisti. Ma è bene che chi fa uso di alcol debba conoscerlo, comprenderne gli effetti sull'organismo. «Ma per coerenza non bevo più nemmeno quel bicchierino che mi poitevo concedere prima - dice la Pileri –. I miei figli inizialmente mi davano dell'esagerata, ora si sono abituati». Confessa Trudu: ho fatto il corso per servitore-insegnante perché ritenevo di fare una cosa bella per gli altri. In realtà oggi mi considero io stesso un alcolista in trattamento. Eppure non ho mai preso una sbronza in vita mia...»

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)