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Acta Neurochirurgica: abuso di cocaina e pneumoencefalo

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Cocaina: chi ne abusa rischia il pneumoencefalo, aria "intrappolata" nel cervello

C'è una spiacevole conseguenza dell'abuso di cocaina di cui i medici non erano ancora a conoscenza. Si tratta dell'insorgenza del

pneumocefalo, la presenza di aria nell'encefalo e nei ventricoli cerebrali - di fatto tra il cervello e il cranio - di solito imputabile a

traumi. Dopo averla scoperta all'Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma, un gruppo di chirurghi guidati da Roberto Gazzeri ne ha dato

notizia su Acta Neurochirurgica.
Un uomo di 31 anni con una lunga storia di abuso di cocaina si era presentato in stato di ansia al Pronto Soccorso dichiarando di avere un

acuto mal di testa. Dopo un primo esame, Gazzeri e colleghi avevano effettuato una tomografia computerizzata dalla quale era emersa la totale scomparsa del setto nasale e dei turbinati, porzioni di mucosa all'interno del naso che servono a depurare e riscaldare l'aria respirata.
La conseguenza più evidente di questi danni provocati nel paziente dalla "sniffatura" della cocaina era la fuoriuscita dal naso del liquido cefalorachidiano, chiamato brevemente liquor, contenuto nel cervello e presente tra il cervello e le meningi.
"Queste conseguenze dell'uso della cocaina non erano finora conosciute" spiega Gazzeri "il nostro lavoro suggerisce che il pneumocefalo è da considerarsi una possibile conseguenza dell'abuso di questo stupefacente".
Il meccanismo con il quale le continue sniffature possono provocare il pneumocefalo può essere brevemente riassunto così: "La base del cranio viene distrutta a causa dell'effetto vasocostrittore della cocaina; segue una necrosi della mucosa dovuta alla bassa influenza di sangue. Il tutto è aggravato da un'irritazione causata dalle sostanze chimiche usate per tagliare questa droga".
A quel punto, la conseguenza più evidente è la rottura del tessuto cartilagineo nasale a più livelli. Una volta che un foro si apre l'aria entra e non può più uscire. "Nel caso del paziente da noi curato il tessuto cartilagineo danneggiato faceva come da valvola: l'aria entrava nel cranio ma non poteva uscire, provocando il pneumocefalo".
La vicenda ha comunque avuto un lieto fine: Gazzeri e il suo gruppo hanno operato il paziente riparando i tessuti danneggiati con cartilagini e grasso prelevato da altre parti del corpo e utilizzando colla di fibrina. A tre mesi dall'intervento la tomografia computerizzata mostrava l'assenza di pneumocefalo.

 

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)