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Adolescenti, famiglia e gruppo: fattori di rischio e di protezione

Adolescenti, famiglia e gruppo: fattori di rischio e di protezione

ADOLESCENTI, FAMIGLIA E GRUPPO: FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE

Nella nuova società la famiglia, in cui i vecchi ruoli sono stati superati e non sono ancora stati sostituiti dai nuovi, rischia di diventare un’incubatrice di malesseri, di disagi fino alla nevrosi o addirittura di patologie se non si trova il modo di intervenire; del resto, come ricorda Neill (1990), “non esistono bambini difficili, solo bambini infelici”.


Si vive una sorta di “deserto emozionale”, con elementi residuali di comunicazione interpersonale che si esprimono con aggressività o sottomissione.


Esiste, a causa di esperienze anticipate di assunzione di ruolo o per l’accettazione da parte dei genitori della possibile separazione del figlio, l’eventualità che la costruzione di un’identità autonoma sia anticipata o inibita e quindi resa problematica. Esperienze precoci d’inserimento nel mondo degli adulti possono anticipare l’evoluzione degli adolescenti, che, alla ricerca esasperata di stimoli intensi, risultano insensibili alle gratificazioni della quotidianità; una delle variabili di questo forte disagio è spesso la ricerca di sensazioni e l’impulsività. Quest’ultima, anche detta sensation seeking (Zuckerman, 1983), si riferisce alla necessità di cercare sempre nuove sensazioni e situazioni, percepite come fuori dalla regola e pericolose (Sensation seeking in adolescenza, ricerca preliminare).


Il disagio giovanile ha varie sfaccettature ed affonda le sue origini nei primi anni di vita del bambino, nelle sue più precoci esperienze affettive e relazionali. E’ molto importante per i genitori, gli educatori e gli insegnanti cogliere i segnali premonitori di esordio che sono utilizzati dal bambino come metodo per comunicare una sua problematica interiore o un conflitto, che se non risolto scaturisce in crisi evolutive o difficoltà transitorie che ostacolano la crescita.


Durante il processo di crescita per un equilibrato sviluppo psicologico vi deve essere un costante e progressivo avvicinamento tra i ragazzi e la realtà, e questa integrazione con il mondo reale deve avvenire in maniera graduale fino ad inoltrarsi nell’età adolescenziale. Il ragazzo dovrà iniziare a misurarsi con fatti, esigenze ed impegni del tutto nuovi, e per questo deve essere in grado di attivare alcune nuove capacità che vengono abitualmente definite “compiti evolutivi”: attività collocate tra un bisogno individuale ed una richiesta sociale e possono essere portate a termine solo se il ragazzo riesce ad effettuare un compromesso psicologico interiore.


L’espressione Life Skills (La prevenzione primaria, modalità di azione e termini di efficacia) viene utilizzata per indicare le competenze che permettono agli individui di confrontarsi con le esigenze e i cambiamenti della vita quotidiana, le “capacità di saper condurre relazioni interpersonali e assumere responsabilità legate al proprio ruolo sociale, fare scelte e risolvere conflitti senza ricorrere a comportamenti che danneggino la propria o l’altrui persona” (Elias, 1991); le “capacità necessarie all’individuo per operare efficacemente nella società in modo attivo e costruttivo” (De Bono, 1993).


L’approccio dell’educazione alle Life Skills non considera separatamente queste abilità ma come complementari e trasversali a tutte le aree di adattamento psicologico e sociale dei bambini e degli adolescenti: un programma, il cui obiettivo è la promozione della competenza sociale nei bambini, insegnerà diversi modi di comunicare i sentimenti (un’abilità sociale), di manipolare le situazioni sociali (un’abilità cognitiva) e di gestire le reazioni ai conflitti (un’abilità di gestione emozionale).


Un recente documento della Fondation pour l’Enfance (La résilence:le réalisme de l’espirante) definisce la resilienza in maniera pragmatica, ad uso di realtà educative, terapeutiche e sociali, come la capacità di una persona o di un gruppo di svilupparsi positivamente, continuando a proiettarsi nel futuro, malgrado eventi destabilizzanti, condizioni difficili e traumi. Tuttavia, la resilienza non è mai assoluta e acquisita una volta per tutte, perché è il risultato di un processo dinamico, evolutivo, nel corso del quale l’esito può cambiare; essa varia secondo le circostanze, la tipologia dei traumi subiti, i contesti e i momenti della vita, e può esprimersi in modo molto diverso e secondo le diverse culture. La resilienza risulta dall’interazione di fattori di rischio e di protezione, pur essendo questa distinzione spesso artificiosa poiché lo stesso fattore può rappresentare un rischio o una protezione a seconda del soggetto.


Nello specifico, in ambito psicologico, e più propriamente all’interno della psicopatologia, la resilienza è considerata come la capacità di evolversi anche in presenza di fattori di rischio ed è vista come una qualità genetica che, però, nell’arco della vita, può manifestarsi ed essere sviluppata grazie all’interiorizzazione di legami significativi; una competenza che si sviluppa all’interno della dimensione relazionale e viene accresciuta e fortificata da tutte quelle esperienze in grado di favorire un sentimento di efficacia personale e di valorizzazione del sé, che include altresì il rapporto con i pari.


(...omissis...)


Valeria Verrastro


copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.behavioraladdictions.it/adolescenti-fattori-di-rischio/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)