Adolescenti inglesi in cura dalla Internet dipendenza
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di Patrizia Brignone
Avete mai sentito parlare di screenager? Si tratta di un neologismo che individua gli adolescenti, dai 12 anni in su, che sono soliti trascorrere parecchie ore, circa 17 ore al dì, dinanzi al PC o alla PlayStation e cadono in astinenza se li si priva di mouse e joy-stick.
Presso il pionieristico centro londinese Capio Nightingale Hospital, vengono curati teenager il cui stato di salute appare gravemente compromesso a causa della assuefazione al video.
La riabilitazione comporta oltre che, naturalmente, l'assoluta sottrazione di ogni gadget di natura tecnologica, anche l'insegnamento di tecniche di socializzazione e interazione face to face e lezioni all'aria aperta.
Al pari del gioco d'azzardo, l'assuefazione alla tecnologia sprigiona irrequietezza, disturbi del sonno, depressione, carenza di appetito, stanchezza cronica e tendenza all'isolamento. Non sono stati rari i casi in cui si è giunti al punto di richiedere l'intervento della polizia.
Stando ad alcune stime, nel Regno Unito soffre di tale dipendenza circa il 10% dei 46,6 milioni di navigatori della rete.
Anche in Italia, presso l'ospedale Gemelli di Roma, è attivo da pochi mesi un servizio analogo rivolto a tutte le età per la cura dell'Internet Addiction Disorder ovvero, appunto, la dipendenza patologica da internet, con disturbi di comportamento ossessivo verso il Web e la tecnologia.
Tra questi pazienti, un ingegnere di 38 anni di bella presenza rivela: "Notti insonni passate davanti al computer, chattando senza sosta con ragazze incontrate sul Web. Il giorno dopo al lavoro mi sentivo praticamente un fantasma, assente, tanto da non accorgermi delle avance reali, quasi insistenti, di una mia collega".
Sicuramente molte, nell'apprendere la notizia, sentono di essere chiamate in causa in prima persona, ma quali sono, secondo voi, gli stimoli che ci spingono a tuffarci senza tregua nel virtuale cyberspace? La dipendenza da Internet è frutto della continua e anche estenuante ricerca dell'informazione o tendiamo, invece, a sfuggire alla dimensione reale perché timorosi o, forse, incapaci di viverla veramente?