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Adolescenza, devianza e disturbo di personalità

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Adolescenza, devianza e disturbo di personalità

dr. Leonardo Abazia

Adolescenza e Devianza
Da molti anni si sta assistendo ad un rapido aumento della criminalità; il crimine è considerato per eccellenza il prototipo della devianza, ossia quell’insieme di comportamenti che violano le norme vigenti in un determinato contesto sociale e storico. Alcuni comportamenti devianti si caratterizzano per un elevato grado di impulsività ed irresponsabilità, caratteristiche che ben si sposano con la fase adolescenziale; infatti molto spesso certe manifestazioni devianti sono opera di adolescenti. Il rapporto tra devianza e adolescenza è diventato, da qualche decennio, un problema di salute pubblica, anche perché questi ultimi sono molto spesso sia vittime sia autori di reati.
Tuttavia è opportuno operare una distinzione tra la fisiologica tendenza alla trasgressione in adolescenza e comportamenti più propriamente devianti che arrestano e/o ostacolano un armonico sviluppo evolutivo; si potrebbe quasi ipotizzare che esiste una sorta di vincolo tra il termine adolescenza e il termine trasgressività dato che il compito dell’adolescenza è di risignificare in modo personale le regole internalizzate nell’infanzia.
Un punto di partenza fondamentale è rendersi conto che nella nostra epoca, rispetto al passato, è cambiata la percezione della trasgressività tra gli adolescenti. I diversi fattori di rischio, predittivi della devianza minorile, risultano maggiormente connessi ad uno stato di disagio psichico evolutivo, meno agganciato a situazioni di disagio economico e familiare, seppur presente.
I diversi comportamenti trasgressivi, quali il mentire, il rubare, l’aggredire, il distruggere, lo spacciare ed infine i reati di gruppo, devono essere letti e recuperati nel loro significato soggettivo ed evolutivo della trasgressione stessa – mettendo in risalto la realtà interna ed esterna attuali, senza ovviamente trascurare la storia personale dell’adolescente e la qualità dei suoi legami affettivi originari – ed inoltre bisogna specificare la qualità del gesto deviante, molto spesso descritta come azione opaca, nel senso che sovente per l’adolescente è oscura, inconscia, la motivazione sottostante al suo atto, come conferma la difficoltà a spiegarne le ragioni.
Per questo il ruolo dell’adulto appare significativo ai fini di un contenimento o, al contrario, di un potenziamento del rischio di un’evoluzione deviante. Là dove l’adulto ne colga il senso, può restituire all’adolescente il significato inconscio che ha sostenuto il suo gesto, e così facendo facilita l’acquisizione di quegli strumenti cognitivi ed affettivi che permettono la gestione delle tendenze pulsionali altrimenti agite. Capita spesso che durante l’adolescenza venga messo in atto un comportamento deviante, spesso temporaneo, che denuncia la crisi che il soggetto sta vivendo, ma che non si può interpretare come l’instaurarsi di una patologia delinquenziale definitiva della vita adulta, anche se comunque va tenuto conto dell’età dell’individuo, della forma e del contenuto del comportamento deviante messo in atto perché tutto ciò riconduce alla fragilità della struttura di personalità. L’adolescenza è una fase evolutiva in cui il rischio di emersione di aspetti psicopatologici della personalità e di mettere in atto comportamenti devianti, fino al punto di diventare antisociali, è particolarmente elevato.
Ci si riferisce al rischio della messa in atto di comportamenti di isolamento, di marginalità e di devianza sociale, di microcriminalità, di tossicodipendenza, che possono facilmente strutturarsi in un Disturbo grave di Personalità (Borderline, Narcisistico, Antisociale).
Ci si riferisce anche a quel sottogruppo di adolescenti che sembrano incapaci di esteriorizzare il loro disagio lasciandolo inespresso e latente e che presentano una personalità falsamente adattata alle richieste familiari e sociali. Questi ragazzi esprimono con il loro comportamento a rischio le loro difficoltà evolutive, relazionali, familiari e sociali. Essi si differenziano da quegli adolescenti che, pur manifestando la stessa tipologia di comportamenti, non corrono un simile rischio psicopatologico, in quanto tali manifestazioni comportamentali sono il risultato di un adattamento sociale adeguato alle specifiche richieste del loro ambiente di appartenenza. In questo caso il rischio è di tipo psicosociale poiché proviene da un ambiente antisociale.
In altri casi il comportamento deviante dell’adolescente risponde ad una conflittualità di tipo nevrotico, riconducibile alla ribellione edipica nei confronti delle regole, delle leggi e di tutto ciò che simbolizza l’universo paterno.
Quindi, il comportamento deviante, fino al punto di diventare violento, accomuna gruppi di adolescenti portatori di problematiche profondamente diverse fra loro e necessita, dunque, di un approccio terapeutico duttile e multifocale. 
Risulta perciò necessario evitare di soffermarsi solo sulle categorie diagnostiche perché ciò potrebbe comportare l’errore di riferire il rischio in adolescenza esclusivamente all’area psicopatologica.

Adolescenza e Personalità
Per arrivare alla completa maturazione della personalità ogni essere umano deve percorrere un lungo cammino che parte dalla fase neonatale per arrivare alla fase adulta. La personalità indica i modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti, sociale e personali. (APA, 1994). Essa rappresenta il risultato dell’interazione che si viene a creare tra componenti biologiche e fattori ambientali rappresentati, questi ultimi, dalla famiglia e dalla società di cui l’individuo fa parte.
Il temperamento, invece, indica l’insieme delle disposizioni biologiche di cui il soggetto è provvisto sin dalla nascita e differisce da un individuo all’altro.
Quindi, le caratteristiche genetiche insieme alle depressioni temperamentali costituiscono la base della personalità che l’ambiente con le sue stimolazioni influenza.
È molto importante riflettere sull’esito cui va incontro la personalità in adolescenza. Infatti è proprio in questo momento evolutivo che ogni individuo risente delle esperienze passate fatte: dalle identificazioni alle emozioni vissute. Si ha un riemergere dei legami vissuti che confluiscono nella personalità dell’adulto e, quindi, la determinano.
In adolescenza si ha la ripresa degli elementi edipici che portano il soggetto a sperimentare sentimenti d’amore verso il genitore del sesso opposto e di rivalità verso il genitore del proprio sesso. La capacità di fare nuove identificazioni segna un passaggio determinante nell’equilibrio psichico del soggetto, il cui risultato può essere un’evoluzione normale o patologica, in quanto coinvolge lo psichismo impegnato nella delicata elaborazione del “lutto”, del distacco emotivo dalle figure genitoriali che prevede l’esperienza della “perdita” affettiva. “Quando si tratta di una perdita “oggettuale” (Ladame, 1981) riconosciuta, il soggetto si avvia verso il superamento di essa”. Ciò dimostra che l’individuo è capace di vivere il lutto con la depressione che ne consegue, caratterizzata da sentimenti di tristezza e di dolore.
La situazione è diversa quando l’adolescente non è capace di viversi con successo tale esperienza: egli si ritrova confrontato direttamente con esperienze di deprivazione vissute nell’infanzia e non possiede mezzi per l’elaborazione intrapsichica perché non ha vissuto in maniera adeguata l’esperienza di fusione con la propria madre che dovrebbe “accogliere” i bisogni contenendoli, come afferma Stern (1985). In questo caso l’adolescente vive esperienze di turbamento che provocano emozioni che non riesce a controllare in quanto non elaborate e “agisce” per evitare l’angoscia che il “pensare” comporterebbe.
La decodificazione dell’aspetto comunicativo dell’azione violenta è pertanto essenziale per ricostruirne il significato; è importante, inoltre, riflettere su come alla base delle diverse forme di patologia che emergono in adolescenza si configura la patologia del legame, in quanto le relazioni sperimentate nella prima infanzia riprendono quota con tutto il loro valore emotivo.

Adolescenza e Disturbi di Personalità
E’ dall’interazione complessa che si viene a creare tra fattori biologici e fattori psicosociali può emergere un Disturbo di Personalità. Per cui una diagnosi basata esclusivamente sul sintomo risulta molto pericolosa in adolescenza; infatti in questa fase dello sviluppo esistono ancora possibilità di cambiamento e di riorganizzazione poiché le relazioni interpersonali con la famiglia e con l’ambiente sono in atto e il loro cambiamento incide ancora profondamente sugli scenari fantasmatici, influenzando il funzionamento psichico. Inoltre, considerare solo il sintomo di un adolescente significherebbe impoverire le potenzialità della sua personalità, spingerlo ad affermare un solo aspetto di sé, quello conflittuale e portarlo ad affermare l’identità negativa espressa dai suoi comportamenti.
Alcuni autori mettono in evidenza che il vivere in un ambiente familiare dove uno dei genitori è affetto da Disturbo della Personalità costituisce per il bambino un rischio per il suo equilibrio psichico, in quanto sin dall’inizio è sottoposto alla strutturazione di legami discontinui, patologici, in quanto il genitore disturbato non è in grado di svolgere la funzione genitoriali in maniera adeguata.
Inoltre, il grado di vulnerabilità del soggetto, cioè le sue capacità di adattamento che gli consentono di reggere le tensioni ambientali, e il grado di intensità dei fattori emozionali contribuiscono ad uno sviluppo sano o non della personalità. Infatti l’entità dei fattori affettivi è determinante nella strutturazione di una forma di patologia della personalità quando questi interagiscono con fattori biologici fragili.
Secondo il punto di vista dinamico è importante riflettere sulle esperienze emotive traumatiche vissute in tenerissima età dagli individui che presentano un Disturbo di Personalità e sull’effetto di tali esperienze sul loro psichismo. Infatti, molto spesso, il passato di questi individui è caratterizzato da abusi fisici e psichici, violenze e forti deprivazioni vissute precocemente in un’età in cui dovevano essere maggiormente protetti. Questi soggetti probabilmente hanno vissuto nel loro passato situazioni in cui non sono stati rispettati i limiti necessari per permettere ad un individuo di sviluppare uno spazio psichico adeguato per esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni. Tutto ciò in adolescenza può provocare uno stato di confusione, espresso con comportamenti aggressivi, senza il rispetto delle regole, a causa della difficoltà incontrata nello strutturare i limiti.

Fattori di predizione della violenza in adolescenza
Nell’ambito dell’analisi dei soggetti che presentano condotte devianti in età evolutiva, si evidenziano diverse possibili evoluzioni del profilo comportamentale relativamente al contesto di sviluppo, alla gravità del comportamento espresso e alla risposta ambientale a tali comportamenti. L’interazione di queste variabili influenza significativamente il “percorso criminale” intrapreso. Ciò consente, predittivamente, l’individuazione delle caratteristiche essenziali e del probabile punto d’arrivo del disturbo comportamentale.
Alcune ricerche hanno rilevato come tali profili comportamentali siano modificabili nel tempo, considerando le caratteristiche individuali e sociali.
Come primo dato rilevante, diversi studi hanno mostrato che alcuni individui abbandonano la carriera criminale piuttosto che continuare con uno stile di vita antisociale (Osborn, 1980). Secondo, anche quando questi mostrino uno tra i più persistenti tipi di comportamento antisociale in epoche di vita precoci, circa la metà non stabilizza tali condotte in una carriera criminale. Terzo, la continuità di un comportamento dissociale è ampiamente influenzata dalle esperienze di vita di tali soggetti. Se individui ad alto rischio incontrano fattori ambientali “positivi”, possono raggiungere un punto di svolta tale da produrre un reale cambiamento (Rutter, 1996). Infine, le caratteristiche ambientali che hanno condotto a un rapido e marcato incremento dei comportamenti violenti e criminali contengono in sé altrettanti fattori potenzialmente in grado di determinarne una riduzione.
Per queste e altre ragioni, l’aspettativa circa la modificabilità delle condotte devianti è molto aumentata negli ultimi anni. La credenza che l’origine del comportamento criminale possa essere individuata in un semplice meccanismo di causa-effetto, è stata largamente soppiantata dall’evidenza che numerosi fattori sono coinvolti nella genesi di condotte devianti (Farrington, 1995; Rutter, 1997). Essi interagiscono in maniera complessa e il loro impatto si modifica lungo il corso della catena causale del comportamento criminale, in accordo anche con i diversi momenti di sviluppo individuale. E’ così possibile reperire un cospicuo numero di indicatori in merito ai fattori di rischio e di protezione ed avere una visione veramente integrata del problema, ossia basata sulla stretta collaborazione tra il neuropsichiatria infantile, lo psicologo, il pedagogista, l’insegnate, la famiglia.
Data, dunque, la notevole eterogeneità dei comportamenti criminali, l’efficacia dei medesimi fattori di rischio e fattori protettivi cambia considerevolmente in relazione alla variabilità e all’epoca di rilevamento dei reati commessi. In accordo con l’assunto che le caratteristiche individuali svolgono un ruolo fondamentale nel determinare l’inizio di una condotta deviante, va sottolineato come gli atti criminali costituiscono un gruppo di azioni facenti parte di un’ampia gamma di comportamenti antisociali. Questi includono condotte pericolose per sé e per gli altri nell’infanzia e nell’adolescenza (giochi “pericolosi”, guida spericolata, ecc.); comportamenti aggressivi verso gli altri (bullismo, rissosità), rifiuto dell’autorità (vandalismo); uso sconsiderato o abuso di droga e alcol; condotte illegali reiterate (furti, truffe, ecc.). Inoltre, è ampiamente riconosciuto come l’origine di tali comportamenti risieda nella prima infanzia, quando cioè, nella maggior parte dei Paesi, l’imputabilità per tali reati non è prevista (Rutter e coll., 1998).
Focalizzare l’attenzione su uno stadio precoce dello sviluppo, con strumenti adeguati atti all’identificazione di comportamenti devianti o “disturbati”, di atteggiamenti ostili, disobbedienti, costanti per un certo periodo di tempo, permetterebbe di individuare il grado di rischio evolutivo di questi profili di sviluppo verso personalità antisociali e di intervenire precocemente per evitare la stabilizzazione delle condotte deviate. D’altra parte, non tutti i bambini che presentano particolari pattern di comportamento divengono criminali; per tale motivo, resta da comprendere chi lo diventa e a quali condizioni, se esistono o meno differenze individuali e la tipologia di tali diversità, di razza, di genere o ambientali.
L’infanzia è il periodo in cui i bambini apprendono le regole sociali, i valori e le modalità più adeguate per risolvere i conflitti interpersonali senza arrivare alla violenza. E’ indubbio che la catena causale di sviluppo di un comportamento antisociale necessariamente origina da una predisposizione individuale. Tuttavia, risulterebbe insoddisfacente considerare l’emergenza di tali condotte come il manifestarsi graduale di uno stile di vita predeterminato.
È necessario, quindi, che la propensione al comportamento criminale venga analizzata tenendo conto di una serie di fattori “a rischio” che fungono da predittore di possibili futuri atteggiamenti devianti e/o violenti. Un interessante contributo è stato fornito da una ricerca pubblicata dall’ Office of Juvinile Justice and Delinquency Prevention nel 2000, in cui i fattori di predizione sono stati raccolti in cinque categorie: fattori individuali, familiari, scolastici, legati al gruppo dei pari, correlati all’ambiente economico-sociale di appartenenza.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)