Al lavoro con un pieno di alcol: un fenomeno sempre più diffuso
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Dietro le scrivanie. Nei cantieri. Sulle strade. Svolgono il loro mestiere e sono schiavi della bottiglia. Un fenomeno sempre più diffuso. Così crescono incidenti e assenteismo
Ancora un goccio, fa freddo lassù. Sul traliccio dell'elettricità a 20 metri d'altezza tira vento e un bicchiere ci vuole. È quello che pensava Franco ogni giorno. Fino a quel gennaio di sei anni fa, una delle tante mattine sospeso nel vuoto: «Ho visto nero e quando la luce è tornata stavo in ospedale. Era passato un mese», racconta. Trauma cranico e coma. Adesso ha 52 anni e non può più lavorare. Così dalla Lombardia se n'è tornato in Campania: «Non riesco a coordinare i movimenti e soffro di una forma grave di epilessia, io che ero una forza della natura». Colpa del suo vizio: vino, birra, addirittura grappa appena poteva, soprattutto in cantiere. Lo faceva per non sentire la fatica, gli acciacchi, l'età. Come Marcello nel Lazio, che aveva un'emorragia interna di cui per mesi nessuno si accorse. Come Fabiola in Campania che ha lasciato la mano sinistra nella pressa idraulica. Tutti alcolisti in trattamento. Rientrano nella categoria dei "work-alcoholic", vale a dire gli schiavi della bottiglia sul posto di lavoro.
Un esercito silenzioso che beve insegnando, guidando un Tir, azionando un macchinario, prima di entrare in sala operatoria. Una statistica Inail non esiste. E se il Trentino ha istituito test anti-alcol per i lavoratori, l'unica fotografia del fenomeno che sta diventando un allarme nazionale l'ha scattata l'Istituto superiore di sanità assieme al coordinamento delle Regioni: una quota compresa tra il 4 e il 20 per cento degli incidenti sui luoghi di lavoro (940 mila l'anno) è legato all'alcol. Significa che un minimo di 37 mila e un massimo di 188 mila infortuni dipendono dall'abuso di bevande. «Non esistono test specifici, per cui dobbiamo limitarci a una stima per difetto. Il 51 per cento degli infortuni avviene con modalità del tipo "ha urtato?" o "ha messo un piede in fallo". Di questi, due su dieci sono esclusivamente legati all'alcol. Mentre l'11 per cento accade sulle strade durante l'orario di lavoro», spiega Francesco Piani, coordinatore nazionale del progetto di prevenzione delle Regioni.
Gente che sbanda in camion, che perde il controllo del furgone o dell'auto nel tragitto casaufficio. «L'alcol è un killer di Stato che uccide 34 mila persone l'anno, quando la droga non arriva a mille. La vittima più frequente è chi conduce una vita apparentemente normale. Beve il 75 per cento degli adulti e 9 milioni sono a rischio di alcolismo cronico. La maggioranza di questi passa metà giornata al lavoro in condizioni alterate». Detto dal medico che guida il centro di alcologia di San Daniele del Friuli, fondato trent'anni fa quando in Italia non c'era nulla del genere, fa effetto. Parla di «strage invisibile », mentre apre la porta a vetri del reparto degenti, proprio sulle colline dove si producono i più pregiati uvaggi bianchi del Nord-est. Qui si applica il metodo di Vladimir Hudolin, che da Udine seminò nel Paese i club per alcolisti anonimi già nel 1980. Maria faceva la segretaria in un'azienda di smaltimento rifiuti. Ha 37 anni ed è una dei 61 mila consumatori abitudinari in carico ai servizi sociali. Non è caduta dal traliccio come Franco, non si è schiantata in autostrada né ha perso il controllo di una gru. Un bel giorno, però, ha minacciato il capo ufficio puntandogli contro un fermacarte: «Non riuscivo a controllarmi, bevevo già di primo mattino. Al bar mi facevo dare un ristretto e lo allungavo con il Cordiale.
Lo portavo da casa per non dare nell'occhio. Dopo ho cominciato a ordinarlo senza farmi problemi, finché ho detto basta caffè. Bevevo soltanto il liquore». Nel 2007 la situazione è peggiorata. Dagli sbadigli in ufficio alla testa che girava. Sempre più pratiche in ritardo, fatture sbagliate e infine la malattia: una settimana, due, un mese, tre mesi. «È stata mia nipote ad accorgersene», racconta sorridendo verso Erika, 23 anni, che due volte alla settimana partecipa alle terapie di gruppo. Ha la stessa età di Federica, due stanze più avanti, che è arrivata dal Veneto con entrambi i genitori. Ha scritto una lettera per raccontare la sua storia: «Frequento il club da due anni a fianco di papà. Non saprei dire quando ha cominciato, perché ero molto piccola e il vino sulla nostra tavola c'è sempre stato. L'incubo però è iniziato quando ha perso il lavoro e anche mamma si è messa a bere». Uno studio americano stima che l'alcolismo sia responsabile di un'impennata delle assenze in ufficio (fino a 4 volte superiori rispetto agli altri lavoratori) e del raddoppio della durata media, spesso anticamera del licenziamento: «Si parla poco di questo fenomeno, perché in Italia la cultura del bere è prevalente», denuncia il direttore dell'osservatorio sull'alcol dell'Iss