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Alcol: 8 milioni di italiani a rischio. Inghilterra 250 mila morti previsti da qui al 2020

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Alcol: otto milioni di italiani a rischio, 250 mila morti previsti da qui al 2020 in Inghilterra e Galles

Mal comune mezzo gaudio? No grazie. Aumentano i consumatori, in particolare ragazzi al di sotto dei 16 anni e donne, che bevono alcolici e

superalcolici, spesso fuori pasto.
Otto milioni e mezzo: tanti sono gli italiani che nel 2009 hanno avuto almeno un comportamento di consumo a rischio per quanto riguarda l'

alcol. Questo è quanto riportato nella relazione annuale che il Ministero della Salute ha inviato al Parlamento. Nel rapporto si evince che

il 15,8% dei connazionali sopra gli 11 anni (6 milioni e 434 mila maschi e 2 milioni e 20 mila femmine) fanno abuso di alcol. Il fenomeno

interessa tutte le fasce di età ma in particolare il 18,5% dei ragazzi e il 15,5% delle ragazze al di sotto dei 16 anni e circa 3 milioni di
anziani. La relazione del Ministero denuncia il "passaggio a nuovi comportamenti e abitudini che segnano un allontanamento dal tradizionale

modello di consumo mediterraneo". In sintesi, diminuiscono le persone con consumi moderati e quotidiani e al tempo stesso aumentano i

consumatori, in particolare donne, che oltre a vino e birra bevono bevande alcoliche e superalcolici con frequenza occasionale e spesso fuori

pasto. Per quanto riguarda il "binge drinking", la modalità di bere di origine nordeuropea che implica il consumo di numerose unità alcoliche

in un breve arco di tempo, ha riguardato nel 2009, ed ora è in considerevole aumento, il 12,4% degli uomini e il 3,1% delle donne e, spiega

la relazione, è ormai abitudine stabilmente diffusa, soprattutto nella popolazione maschile di 18-24 anni (21,6,1%) e di 25-44 anni (17,4%).

Sebbene l'Italia occupi un posto tra i più bassi in Europa per consumo annuo pro-capite di alcol e sia anche uno dei Paesi della Ue con il

più alto numero di astemi a preoccupare sono in particolar modo i giovani e le donne.
È questo l'allarme che viene fuori dalla lettura della relazione inviata al Parlamento. "Preoccupa in particolare il cambiamento avvenuto

nell'universo femminile - scrive nell'introduzione il ministro Ferruccio Fazio - che, pur restando inferiore a quello maschile, tuttavia

nelle generazioni più giovani vede una progressiva riduzione delle tradizionali differenze di genere, fino a un capovolgimento della

situazione per le giovanissime al di sotto dei 16 anni, tra le quali il ‘binge drinking' risulta più diffuso che tra i coetanei maschi". "E

preoccupante - evidenzia ancora il ministro - appare anche la situazione dei giovani, perché già a 18-19 anni la quota di consumatori è

vicina a quella media della popolazione e il consumo di alcol appare molto diffuso tra i giovanissimi al di sotto dell'età legale per la

somministrazione (16 anni). Restando in tema, il Ministero della Gioventù e l'Istituto Superiore di Sanità hanno presentato a Palazzo Chigi

il primo bilancio dell' operazione "Naso rosso" dove risulta che il 34,6% dei giovani arriva in discoteca già con un tasso di alcol nel

sangue superiore al limite dello 0,5 concesso dalla legge per poter guidare. A fine serata la percentuale di giovani sopra la soglia dello

0,5 è aumentata al 44%, mentre quelli a tasso zero, che all'ingresso erano il 33%, sono scesi al 16%. Conforta però che tra i ragazzi che

hanno dichiarato che avrebbero guidato dopo la discoteca la quasi totalità è risultata inferiore al limite dello 0,5. "Questo vuol dire - ha

detto il ministro Meloni - che è aumentata la consapevolezza tra i giovani che, se devono guidare, bevono con moderazione". Intanto un

allarme arriva dalla Gran Bretagna sembra infatti che gli inglesi affondino in un mare di alcol. Si tratta, secondo la rivista medica Lancet

che ha lanciato l'allarme, a firma di tre eminenti scienziati tra cui sir Ian Gilmore, ex presidente del Royal College of Physicians, di una

situazione veramente pericolosa. "Pinta di birra dopo pinta di birra, goccio di whisky dopo goccio di whisky - secondo Lancet - il consumo

smodato di bevande alcoliche rischia di provocare 250 mila morti di qui al 2020 solo tra gli abitanti di Inghilterra e Galles: oltre 10 mila

morti all'anno". Sul banco degli imputati il governo, invitato a correre ai ripari, per la sua relazione troppo stretta con l'industria degli

alcolici venduti a prezzi troppo bassi per frenare la corsa al consumo. Che la Gran Bretagna sia una nazione schiava dell'alcol lo si vede in

ogni centro urbano alla chiusura dei pub o al pronto soccorso. Sessanta anni fa i britannici consumavano una media di 3,5 litri di alcol puro

a testa all'anno, una cifra oggi triplicata in parallelo al calo proporzionale del prezzo degli alcolici. In certe città una bottiglia da tre

litri di sidro viene venduta oggi a poco più di una sterlina, pari a nove centesimi per unità di alcol. Poco sorprendente che tra i sudditi

di Sua Maestà le morti per malattie epatiche siano l'11,4 per centomila persone, oltre il doppio che in nazioni dove comunque si beve come

l'Australia, la Svezia, la Francia e due volte il tasso di un quarto di secolo fa. Il modello, per l'appunto, è la Francia dove "profondi"

cambiamenti in positivo sono arrivati grazie a regole più "severe" nel marketing degli alcolici, scrivono gli autori dello studio su Lancet.

"Quante persone dovranno morire per malattie da alcolismo e quante famiglie dovranno subire le conseguenze dell'inazione del governo che non riesce ad affrontare la piaga dell'alcol con la stessa energia della lotta al tabacco?", si è chiesto Richard Thompson, successore di Gilmore

alla testa del Royal College of Physicians e un'autorità scientifica non collegata con lo studio. Il governo di David Cameron ha prontamente

respinto le critiche: "Non abbiamo perso tempo ad affrontare l'emergenza", ha detto un portavoce del ministero della salute evocando piani

per impedire ai supermercati di vendere alcol sottocosto e per inasprire il regime delle licenze. Leggendo certe notizie si pensa: "Meno male

non siamo solo noi!". Ma chi ha detto ‘Mal comune mezzo gaudio'

 

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)