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Alcol: è allarme per i giovanissimi

Alcol, è allarme tra i giovanissimi

«Il paziente si è allontanato senza il consenso del personale medico». Una frase scritta con un pennarello rosso al centro di una cartella clinica. «Per noi, tutte le volte che siamo costretti a scriverlo, è una sconfitta, perché l'alcolista non smette mai di esserlo; anche dopo anni di terapia. E da solo, di certo, non può farcela». Maria Luisa Attilia è la dottoressa responsabile del trattamento Day Hospital del reparto di prevenzione e cura dei danni epatici da alcol del Policlinico Umberto I di Roma. Una struttura che, dal 1997, anno della sua istituzione, è un centro di riferimento per i 400 casi all'anno studiati da vicino; con tutte le difficoltà possibili.
NIENTE POSTI LETTO - «Non abbiamo posti letto, non siamo mai stati finanziati dalla regione, e ce la vediamo in due, io e il professor Ceccanti». Sembra di toccare con mano la denuncia fatta nei giorni scorsi dal Corral (Coordinamento delle strutture residenziali alcologiche: ne fanno parte dodici), riunitosi a Senigallia, secondo cui nonostante il problema dell'alcol riguardi ben nove milioni di persone, le strutture per la riabilitazione mancano in molte regioni, soprattutto da Roma in giù.
«Io non la metterei su questo piano: è vero che nel centro-sud la situazione è drammatica, ma anche nel resto d'Italia non è che se la passino meglio». Continua Attilia: «Voglio dire che non dobbiamo confondere la presenza dei gruppi di auto-aiuto, gli alcolisti anonimi, per intenderci, come la soluzione principale; quando invece sarebbe necessaria la diagnosi, garantita solo dalle istituzioni».
RAGAZZE A RISCHIO - Un passo avanti rispetto al concetto di «alcolismo non è un vizio», ma forse ancora troppo lontani dal salto culturale: l'alcolismo è una patologia,(*) che non fa sconti tra uomini e donne. «Prima erano soprattutto gli uomini i nostri pazienti, adesso c'è un rapporto alla pari, purtroppo già in età adolescenziale». Ragazze e ragazzi presentano lo stesso indice di rischio, come dimostrano anche i controlli antialcol effettuati la scorsa estate da polizia e carabinieri tra Roma e il litorale pontino.
«I dati nazionali sono questi, impietosi, e vanno da un milione e mezzo di alcolisti ai 30 mila morti all'anno; ma è l'età della prima bevuta che fa spavento: a dodici anni ci si ubriaca, sballandosi fino all'inverosimile: soprattutto durante il weekend con gli amici».
ALCOLISTI A 12 ANNI - Cosa fare? «Sono più o meno 18 i milioni di euro spesi ogni anno per pubblicizzare l'alcol, mentre 1 milione di eruo, al massimo, è destinato alla lotta alla prevenzione: se poi, un prodotto per gli adolescenti, come Hello Kitty, decide di mettere in commercio spumante e birra a bassa gradazione, diventa impossibile venirne fuori». Lo sballo del weekend, poi, non è che sia una impresa tanto ardita.
«Una bottiglietta di birra Ceres contiene due unità alcoliche, appena un livello inferiore rispetto alle tre unità (un bicchiere di vino, per intenderci) da non superare al giorno». Continua la dottoressa: «In età adolescenziale non possiamo parlare di dipendenza vera e propria, ma di comportamenti a rischio; anche perché, nel tempo - e questa è una cosa che raramente viene ricordata - l'assunzione di sostanze alcoliche nel tempo rappresenta la causa, per il 40%, della cardiopatia dilatativa».
PERCHE' SI BEVE - Il grido d'allarme lanciato dal Policlinico Umberto I, lo conoscono molto bene gli alcolisti anonimi di Roma, nati più o meno quarant'anni fa e spesso a stretto contatto con il gruppo di lavoro di medici e ricercatori. Emilio, poco più che cinquantenne, impiegato all'aeroporto di Fiumicino, da 13 anni non ha toccato più un goccio. Lui fa parte di uno dei 31 gruppi di alcolisti anonimi presenti nella Capitale.
La sua storia, passata per la parrocchia di Santa Galla, è una bella storia, ma di scriverne la parola fine non gli va proprio. Uno come lui, dopo aver evitato una fine «lenta, progressiva e mortale», è riuscito a risalire scalando la montagna di un recupero «altrettanto lento, progressivo e vitale». Di mezzo, un infarto e tante parole non dette ai propri cari. Ma che cosa si racconta in queste riunioni, tempo un'ora o di più? «Che all'inizio si beve, da adolescenti, per sentirsi più sicuri, poi di nascosto e di notte, continuando a far credere agli altri, famiglia e lavoro, che tutto sia come prima: invece, ecco il tracollo, nessuna voglia di uscire di casa, crisi di nervi e problemi relazionali». Oggi è guarito? «No, ho solo stoppato la malattia e provato a risollevare la vita di chi mi circonda».
CALA L'ETA' DEGLI A.A. - E' interessante il raffronto tra città e provincia, con tanto di coinvolgimento degli adolescenti, per quanto riguarda il problema dell'alcolismo; che almeno socialmente non fa sconti. «Alle riunioni degli A.A. (ndr. alcolisti anonimi), i partecipanti hanno un'età media di 35 anni, dieci anni di meno di quando ho cominciato a frequentarli», ricorda Emilio. Gli può capitare di trovarsi davanti un manager o un autotrasportatore: nessuna differenza in piena confessione.
I centri di auto aiuto in provincia si dividono così: uno a Frosinone, Rieti e Viterbo, quattro a Latina. «Cambiano le sostanze alcoliche, ma rimane il problema di fondo: così, per esempio, se a Rieti, il vino, bevanda familiare, viene servito anche agli adolescenti, mentre i super-alcolici sono evitati, non vuol dire che non esista il problema», osserva Enzo Becchetti, fiduciario nazionale, non alcolista, dell'associazione nazionale alcolisti anonimi.
Proprio in questi giorni, si è svolta a Rimini la loro riunione nazionale. «Abbiamo potuto verificare, attraverso alcuni test, quali siano i problemi principali legati alla lotta contro l'alcol; su tutti, la sottovalutazione del problema e la mancanza di comunicazione».
CORRAL? NO GRAZIE - Si scopre così che il 70% degli alcolisti presenti negli incontri di autoaiuto vi arriva per forti pressioni familiari, mentre il 20% attraverso il passa parola. Un problema di comunicazione, quindi, sollevato del resto anche dal Corral, secondo cui ai loro centri di recupero si rivolgerebbero ogni anno tremila persone «cifra imponente vista la scarsa promozione dei nostri centri, i quali, molto spesso si reggono esclusivamente sul passaparola dei pazienti», come ha ricordato Giovanni Cittadini, presidente del Corral.
«Sì, ma le strutture residenziali alcologiche non risolvono il problema: chi decide di parlare di sé, aprirsi e farsi aiutare, non potrebbe mai curarsi in una struttura e sparire per tre settimane: l'alcolista non saprebbe infatti come giustificare la sua assenza dal lavoro o dalla propria famiglia», precisa Becchetti. Maria Luisa Attilia invece pone l'attenzione sulla condivisione di strategie «assenti, molto spesso; c'è chi predilige l'auto aiuto e meno protocolli scientifici, ma l'approccio deve essere più complesso e comprendere l'aspetto medico, psichiatrico e farmacologico».