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Alcol e adolescenti, quello che non sappiamo

Alcol e adolescenti, quello che non sappiamo

SE I RAGAZZI BEVONO: GENITORI, NON SIATE AMICI DEI VOSTRI FIGLI

“Come faccio a essere credibile come mamma se indosso le All Star e faccio aperitivi con le amiche?”. La giornalista Alessandra Di Pietro, mamma di due figli di tredici e dieci anni, si è posta questa domanda quando si è messa a pensare al tema alcol e giovanissimi. Un argomento che ha affrontato a piè pari nel libro “Il gioco della bottiglia. Alcol e adolescenti, quello che non sappiamo” (add editore), una testimonianza che riempie un vuoto editoriale e nella quale sono gli stessi ragazzi a raccontare il loro rapporto con il bere.


Alessandra, il tuo interesse per l’argomento è stato più da genitore o da giornalista?
“Da entrambi i punti di vista. Di sicuro il fatto di essere madre di un pre-adolescente mi ha trascinata verso questa ricerca. Ho ragionato sul fatto che l’alcol è la prima sostanza psico-attiva che mio figlio troverà sulla sua strada: perché è accessibile, economico, a disposizione sia in casa che al supermercato. E nella nostra cultura è qualcosa che fa rima con divertimento, con piacere”.


Non dev’essere stato facile fare in modo che i ragazzi e le ragazze che hai incontrato si aprissero…
“Ho usato due espedienti. Il primo è stato incontrare giovani il cui tramite fossero persone che conosco. Ragazzi, dunque, che mi incontravano per la prima volta e che sapevano che non mi avrebbero rivista: una strategia che li ha molto aiutati a entrare in confidenza con me. Il secondo è stato ascoltarli molto e parlare poco: cosa che in generale, presi dall’ansia da predica i genitori fanno di rado”.


C’è un luogo comune che più di altri hai riscontrato sulla questione alcol e giovanissimi?
“Ce ne sono parecchi. A me inquieta sempre la parola ‘allarme’ che in questo caso viene spesso utilizzata. Quando, poi, sento parlare di ‘allarme giovani’, mi si rizzano almeno un paio di antenne. Per non parlare dell”allarme giovani sostanze psicoattive': tutti i sensi, a questo punto, si mettono allerta. Durante l’indagine ho appurato che è sbagliato dire che tutti i ragazzi bevono. Sotto i 18 anni il 44% di loro non beve. Tra gli 11 e i 15 anni, non beve il 90% di loro. Bisogna invece dire che bere è una scelta, che l’alcol non si subisce, che ti viene proposto in tutti i modi ma tu puoi opporre resistenza, sviluppare un pensiero critico, essere figo senza farvi ricorso. Continuare a descrivere i giovani come quelli che si ubriacano e stramazzano è controproducente: è come se assegnassimo loro un destino già certo”.


Hai raccolto storie molto diverse tra loro ma secondo te si può fare un identikit dell’adolescente che beve?
“L’adolescente che beve è qualunque dei nostri figli. Non è il soggetto border line. Anche nella fascia grave, che alza il gomito di continuo, ci sono i nostri figli. Il ragazzo che beve è tra noi, non ha tre orecchie, non è stigmatizzabile in nessuna figura particolare”.


Nessuna connessione con fattori come il contesto familiare e la scuola?
“Sicuramente contesti di povertà economica, educativa ed emotiva possono essere fattori di rischio. Nell’emarginazione sociale è facile che l’alcol scorra a fiumi: è evocativo il fatto che sia liquido, che in assenza di argini non smetta di fluire. Ma non è sempre detto che dietro ai ragazzi che bevono ci siano famiglie sfasciate. Così come non è detto che chi si ubriaca va male a scuola: Federico, sedici anni, ha una pagella strepitosa. Chiaro che, in presenza di ragazzi problematici e forme di poli-abuso, il basso rendimento scolastico è una spia del disagio”.


Racconti anche del 16enne Jacopo, astemio. Chi non si omologa ai comportamenti alcolici dei coetanei viene in qualche modo tagliato fuori?
“Purtroppo rimanere esclusi dal gruppo perché non si beve è qualcosa di comune. Molti raccontano di fare uso di alcol per puro piacere, perché ‘non scatta la serata se non c’è un bicchiere’. Ma a volte mi chiedo: tra adulti la serata scatta lo stesso senza vino? Ricordiamoci che i ragazzi ci guardano anche quando pensiamo che non sia così. La storia di Jacopo è tenerissima: è un ragazzo che ha faticato molto per essere accettato nonostante sia astemio. A volte il gruppo fa affidamento su di lui perché è l’unico sobrio o l’amico che ti soccorre. Ma il riconoscimento della sua scelta non è automatico. La sua vicenda mi fa pensare all’importanza di parlare dei ragazzi in positivo, non solo quando fanno bravate e incidenti”.


(...omissis...)


Silvia Manzani


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.romagnamamma.it/2015/11/se-i-ragazzi-bevono-genitori-non-siate-amici-del-vostri-figli/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)