Alcol e anziani: emergenza dimenticata
Alcol e anziani: emergenza dimenticata
Su otto milioni di etilisti italiani, tre sono over 65 E sono più fragili perché il loro organismo è già provato dagli anni. Ma aiutarli è possibile
Il vino fa buon sangue (e invece induce anemia), l’alcol fa digerire e dormire bene (e invece aumenta l’acidità gastrica e la probabilità di risvegli notturni) e per finire: è il latte dei vecchi... Secondo i dati del Ministero della Salute, relativi al 2013, su un totale di otto milioni di italiani bevitori eccessivi, gli over 65 sono circa tre milioni. Ma non se ne parla: chi fa notizia sono i ragazzi.
Chiarisce Maria Raffaella Rossin, coordinatore scientifico degli “storici” NOA, i Nuclei Operativi di Alcologia del Dipartimento Dipendenze dell’Agenzia Tutela Salute di Milano e autrice, con Beatrice Longoni e Antonio Andrea Sarassi, di “Alcol e anziani”: «Quando si parla di anziani alcolisti, o a rischio alcolismo bisogna pensare a due categorie. Da un lato, i giovani alcolisti diventati vecchi alcolisti - che rappresentano la maggior parte dei bevitori anziani -; dall’altra chi continua a bere come faceva negli anni passati, ma sotto il peso della solitudine o di nuove e spesso impreviste difficoltà, passa pian piano da “bevitore sociale” (una persona che beve in situazioni di convivialità, ndr) ad alcolista». E per gli anziani la linea di confine da non superare è più vicina che per gli adulti sotto i 65 anni. Gli ultrasessantenni, ci dice infatti il Ministero della Salute, non dovrebbero superare un’unità alcolica (125ml) al giorno (un bicchiere di vino o birra o un aperitivo) contro le due concesse agli uomini adulti.
«Dopo i 65 anni — spiega Antonio Andrea Sarassi, specialista in alcologia— l’eccessivo consumo di alcol è più pericoloso perché i sistemi enzimatici deputati al metabolismo dell’alcol funzionano in modo ridotto e, in caso si “ecceda”, le capacità motorie non sono quelle di una volta e il rischio di cadute o traumi si moltiplica. Inoltre, un organismo già provato dagli anni è genericamente più fragile e le medicine che spesso l’anziano assume, per combattere le sue malattie, complicano la situazione. Come si sa, alcol e farmaci non vanno d’ accordo (vedi box a fianco, ndr). E, ovviamente, il bere può accelerare il decadimento oltre che fisico, anche psicologico».
Qual è l’identikit dell’alcolista anziano? « Se non si tratta di giovani bevitori diventati vecchi bevitori, non dobbiamo pensare affatto a dei “drop out” — risponde Rossin —. Sono spesso persone attive, con un discreto reddito, che si occupano dei nipotini e, magari, frequentano l’Università della terza età. Si tratta più spesso di uomini che di donne, ma l’alcolismo femminile è un fenomeno sommerso a tutte le età e quindi non sappiamo se i dati corrispondano alla realtà».
Che cosa si può fare per capire se il babbo, la mamma o l’anziano zio bevono troppo? «Ci sono dei campanelli di allarme, per esempio: cadute e problemi gastrointestinali frequenti, accessi ripetuti al Pronto Soccorso, calo o aumento di peso notevoli, trascuratezza nel vestire o nell’igiene personale. Poi ci sono segnali più specifici, che può intercettare il medico di famiglia, ma che in alcuni casi possono essere colti anche dai parenti dell’anziano. Penso, a un eritema persistente al volto, a occhi acquosi o, al contrario, iniettati di sangue, alla frequente presenza di lividi e contusioni».
E una volta che il sospetto si è trasformato in certezza, che fare? «Innanzitutto — continua Rossin — chi ha iniziato a eccedere in tarda età può essere maggiormente aiutato dalla famiglia e da una rete di amicizie che non ha distrutto. E lo stesso alcolista è più determinato a cambiare, perché ha ancora ben presente una vita “prima” dell’alcol. D’altra parte l’anziano ha in genere meno responsabilità, meno persone intorno, meno interessi e questo può costituire una difficoltà in più. Comunque, che si tratti di un alcolista diventato vecchio, o di un anziano diventato alcolista, c’è sempre bisogno di un trattamento guidato da un équipe multidisciplinare che si occupi sia dell’alcolista, sia dei suoi familiari per almeno un anno; di una persona di famiglia o un amico o un volontario che affianchino la persona in trattamento e dell’inserimento in un gruppo di auto-aiuto».
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.pressreader.com/
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)