338-1938888 o 331-2460501/2/3 o 0172-55294[email protected]

News di Alcologia

Alcol e gioco d'azzardo: legame sempre più stretto

cufrad news alcologia alcol alcolismo alcol e gioco d'azzardo: legame sempre più stretto

Alcol e gioco d'azzardo: legame sempre più stretto
Cuni (Centro studi Apcat): da noi 1400 persone con problemi legati al bere In media maschi tra i 45 e i 50 anni, ma i giovanissimi non ci seguono


di Giuliano Lott


TRENTO. Sulla piaga dell'alcolismo si innesta un'ulteriore problema: quello del gioco d'azzardo. Ma la prima distinzione che Roberto Cuni, coordinatore del centro studi Apcat, sottolinea è terminologica: «Non usiamo il termine "alcolista", anche se è corretto e di uso comune. Noi preferiamo parlare di persone che hanno problemi con l'alcol, e i club, anziché "alcolisti", sono "alcologici"». I 162 club Apcat (Associazione provinciale club alcologici territoriali) del Trentino accolgono circa 1400 persone. «In media - spiega Cuni - abbiamo 8 persone per club. Oltre i 12 si crea un nuovo club, poiché la nostra metodica funziona solo con gruppi ristretti, diciamo dalle 6 alle 10 persone. Noi favoriamo il rapporto con i familiari, ma accogliamo anche singoli». Gli incontri sono quattro al mese, uno per settimana, della durata di un'ora e mezza ciascuno. «I gruppi vengono seguiti da un "servitore-insegnante", che svolge il ruolo di facilitatore, aiutando le persone a parlare di sé, ma senza dare risposte di contenuto. Sono medici, psicologi, o anche persone che hanno vissuto l'esperienza in prima persona o in famiglia e vengono formate per condurre quelli che sono in sostanza dei gruppi di auto-mutuo aiuto. Gli incontri sono semplici scambi di esperienza, ci si racconta la settimana appena passata, con gioie e dolori. Ognuno parla di ciò che ha fatto, in relazione alla propria vita e all'assunzione di bevande alcoliche».


La stragrande maggioranza dei frequentatori è inviata dal Servizio alcologia dell'Azienda sanitaria. «Sono circa il 70%» spiega Cuni. «Ma c'è un restante 30% di persone che si avvicinano a noi in autonomia, o più spesso spinte dalla propria famiglia. Certo, alla base c'è la scelta del singolo, altrimenti il percorso sarebbe votato al fallimento».


I primi ad accorgersi del problema con l'alcol sono spesso le donne: «Le mogli, o le sorelle, riescono a individuare il problema prima ancora che se ne accorgano i medici. E non sbagliano mai». Non che le donne siano esenti da problemi di alcol, anzi: «Oggi il rapporto è 4 a 1, i maschi restano la schiacciante maggioranza. Ma oggi le ragazze, spesso minorenni, bevono e fumano come i maschi e quindi tra una decina d'anni è facile prevedere che i numeri saranno pari. Ma facciamo fatica ad arrivare ai giovani, i ragazzi credono che il problema riguardi solo vecchi ubriaconi, mentre in realtà le cose non stanno affatto così. I nostri assistiti sono comunque maschi tra i 45 e i 50 anni, anche se la media si è abbassata in questi ultimi anni».


Spesso all'alcol si accompagnano dei reati, come spiegava sulle nostre pagine di ieri il questore Giorgio Iacobone. «Sì, la guida in stato di ebbrezza è il più comune, ma ci sono anche casi di violenza. E abbiamo constatato in questi ultimi anni come si sia sviluppata una relazione molto stretta tra l'alcol e il gioco d'azzardo. Non è un legame automatico, ma accade di frequente perché l'alcol, che aiuta ad uscire dalla propria realtà quotidiana, facilita l'accesso alla dipendenza dal gioco». Una dipendenza che si innesta su un'altra dipendenza? «Andiamoci piano con le dipendenze, non è detto che ci si trovi sempre e comunque davanti a una dipendenza. Spesso si rivolgono a noi persone alle quali è stata ritirata la patente, magari per un valore di poco superiore ai limiti di legge. Non è scontato che si tratti di un alcol-dipendente, ma è di certo una persona che ha problemi con l'alcol. Direi però che il ritiro della patente spesso mette la persona di fronte al problema del rapporto con l'alcol, mentre prima ne era inconsapevole». L'alcol è in ogni caso da evitare? «Il nostro messaggio è "smettete di bere", non "bevete di meno". Altrimenti non funziona. Bisogna dire le cose come stanno: l'alcol è un "facilitatore sociale", rende più immediato il contatto con la gente, "lega". In due parole: dà piacere. Altrimenti non si spiegherebbe tanto successo. Però il conto da pagare è salatissimo, sia in termini clinici che sociali. Bisogna esserne consapevoli».


La vostra percentuale di successi? «Ottima. La letteratura scientifica dice che solo il 10% di chi inizia un percorso per smettere di bere ce la fa. Noi abbiamo un 65% di persone che lasciano l'alcol in modo continuativo, un 15% che non ci riesce del tutto e ha delle ricadute. E poi c'è un 15-25% di fallimenti». Cosa bevono i vostri assistiti? «Fino a 15 o 20 anni fa soprattutto vino. Oggi però è la birra la bestia nera. C'è poi una piccola percentuale di gente che beve superalcolici». Il ceto è in generale medio-basso? «Sì, ma non è che i ceti più elevati siano esenti, anzi. É solo più difficile avviarli a percorsi di recupero. In Italia c'è una tradizione legata al bere, ma qualcosa sta cambiando: i consumi stanno calando e i casi di cirrosi sono meno frequenti di un tempo».


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)