Alcol e giovani: considerazioni dello psichiatra Michele Sforza
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«Purtroppo l'abuso di alcolici è un fenomeno sempre più diffuso e grave tra i più giovani. Basti pensare che in Italia
abbiamo il record europeo dell'età più bassa in cui i ragazzi cominciano a bere». Inizia così il commento di Michele Sforza,
psichiatra e psicoterapeuta, al caso delle due ragazze giunte ubriache a scuola ieri mattina.
Sforza prosegue il suo ragionamento spiegando che «la modalità con cui i giovani abusano di alcolici è il "binge drinking",
termine inglese che significa bere "per lo sballo", per ubriacarsi. E si tratta di un fenomeno davvero pericoloso: l'
ubriachezza è un'intossicazione acuta che può portare sia a un danno immediato, come l'aumento della probabilità di incorrere
in un incidente, sia a un danno più a lungo termine dovuto ai ripetuti abusi. Non dobbiamo dimenticare che l'alcol è
neurotossico e può colpire il sistema nervoso».
Il problema è enorme ma le risposte che arrivano dalla società non sembrano soddisfacenti. «Mi meraviglia la grande
tolleranza che c'è di fronte a un fenomeno simile -osserva Sforza - Si dice che capita, che lo fanno tutti. Poi però le
famiglie, quando succedono queste cose, sono sempre stupite e si chiedono come si possa controllare un ragazzo di 19 anni».
La risposta, sostanzialmente, è che bisogna iniziare prima. Infatti, secondo il direttore della sezione della clinica "Le
Betulle" di Appiano Gentile, che si occupa di dipendenze, «a 19 anni diventa difficile far capire che certi comportamenti
devono essere limitati, ma proprio per questo bisogna iniziare a 19 giorni. È un discorso educativo, ma l'educazione è fatta
di stili di vita, di esempi positivi e silenziosi dati dai genitori». Un'educazione fatta con l'esempio, però, «è un
sacrificio per gli adulti, perché devono essere i primi a rispettare le regole e a dimostrare che certe cose si fanno e altre
no. Ma è sempre difficile dire dei no».
Ma perché si finisce per presentarsi ubriachi a scuola? «Ci sono tanti motivi - risponde Sforza - ma soprattutto ci si sente
grandi, trasgressivi. E può essere che anche i compagni di classe non stigmatizzino sufficientemente simili comportamenti.
Magari si limitano a un sorrisino di complicità».
La risposta della società, però, non passa semplicemente per le campagne di prevenzione. «Finché noi adulti non decideremo di
essere più coerenti, più sobri nel nostro stile di vita, non potremo mai chiedere ai giovani di fare altrettanto. Abbiamo
rovinato una generazione e continueremo a farlo finché non succederà qualcosa». Per la precisione, «dobbiamo cambiare il
nostro stile di vita. Altrimenti, continueremo a contare le vittime».