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Alcol e giovani: parla la sociologa Franca Beccaria

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Alcol e giovani. Riflettere prima dell'uso


Quello tra giovani e bevande alcoliche è un rapporto che suscita un immediato senso di apprensione. Un rapporto che da alcuni anni ha acquisito visibilità e creato allarme sociale. All'abuso di alcol tra giovani si collegano incidenti automobilistici, avvelenamenti, suicidi, ferimenti e omicidi. Secondo i dati Oms l'alcol è la prima causa di morte tra i giovani europei. Un decesso su quattro tra i giovani in età tra 15 e 29 anni è legato al consumo di alcol, per un totale di 55 mila morti l'anno. Franca Beccaria, sociologa e dottoressa di ricerca in Alcologia ha provato a spiegare questo fenomeno al di là delle tendenze "giudicanti" in un saggio che porta il titolo Alcol e giovani. Riflettere prima dell'uso


Negli ultimi trent'anni, in Italia il consumo di alcol si è dimezzato. Di cosa è figlio questo risultato?
L'abbassamento del consumo di alcol deriva da fattori di tipo socioeconomico e culturali. Le politiche di sensibilizzazione, pur importanti, sono arrivate in Italia negli anni '90, quando la tendenza era già in atto da vent'anni. La riduzione è avvenuta perché sono cambiati gli stili di vita degli italiani. Negli anni '70 il grande trasferimento in massa dalla campagna alla città ha fortemente ridotto il consumo di vino. Il passaggio dal lavoro nei campi a quello delle fabbriche ha imposto tempi di lavoro diversi e ha mutato i consumi, compresi quelli alcolici. Negli anni '80 è poi è cresciuta la presenza a delle donne nel mondo del lavoro, e questo ha cambiato le abitudini e lo stile di organizzazione dei pasti della famiglia. Poi, negli anni '90 sono arrivati gli atteggiamenti più salutisti e lì si sono inserite le politiche di sensibilizzazione, di prevenzione, le attività dei servizi e così via. Insomma hanno rafforzato una tendenza già in atto.


Perché questo dato è passato inosservato?
La mia opinione è che l'idea di dare enfasi a questo risultato potesse in qualche modo implicare un ridimensionamento delle risorse dedicate all'alcol. Sappiamo che in Italia le risorse dedicate a trattamento o prevenzione - non parliamo della ricerca - sono pochissime e quindi una comunicazione sull'efficacia di queste misure avrebbe portato a un eventuale ridimensionamento. Credo che una motivazione inconscia sia stata questa. In realtà sarebbe stato molto più utile sottolineare questi dati. Per portare il nostro Paese a riflettere su quanto accaduto ed elaborare strategie e politiche che potessero beneficiare di questo aspetto. Secondo me la mancata consapevolezza della riduzione dei consumi alcolici ha causato la perdita di una grande occasione per essere protagonisti sulla scena europea. Portare al centro dell'interesse le peculiarità italiane, avrebbe portato più fondi alla ricerca e soprattutto ci avrebbe reso protagonisti e non gregari.


Come descrive il sistema di distribuzione occidentale degli alcolici?Quanto stride nel nostro sistema normativo la legalizzazione di una sostanza psicoattiva (come l'alcol) e la criminalizzazione di altre?
Il sistema della distribuzione è molto interessante. Soprattutto nel nostro Paese si sta andando verso una liberalizzazione più spinta degli alcolici. Basti pensare alla grande diffusione dei così detti take away, distributori di alcolici in cui "prendi e porti via" e che si trovano soprattutto nelle aree della movida, generando quei problemi che sono stati definiti recentemente come la malamovida. Credo che il sistema andrebbe in parte ripensato. Per quanto riguarda la cultura dell'alcol, è insita nella nostra storia, da quella greca romana di cui siamo figli. Il nostro sistema normativo stesso è figlio di questa storia. Le altre sostanze, benché siano state rese illegali recentemente - in Italia la prima vera criminalizzazione avviene nel 1954 - erano consumi di nicchia: per uso farmacologico, elitario e in sinesi sempre minoritario. Sono arrivate da noi come consumi di massa relativamente tardi. Manca perciò quella cultura che, oltre alla conoscenza approfondita, fornisce anche gli strumenti per affrontare rischi e porvi rimedio. Chiederci se questa distinzione tra sostanze legali e illegali abbia ancora senso o meno è molto difficile. Credo che dal punto di vista farmacologico le sostanze non siano poi molto diverse. Alcune modifiche andrebbero fatte, andando verso una parziale forma di legalizzazione per alcune sostanze.Comprensione e demonizzazione del fenomeno alcol-giovani.


Perché è così nodale spiegare questo rapporto nel modo migliore?
È nodale per evitare quelle politiche che rischiano di ottenere effetti opposti a quelli desiderati, i così detti effetti boomerang: si introducono delle modifiche per ridurre i consumatori, ma da un altro verso aumento i consumi a rischio. Se si continuano a vedere solo i dati allarmistici, non si comprende la vera motivazione dell'abuso frequente e reiterato, cioè cosa ci vogliono dire i giovani tramite questa pratica. Cosa cercano nello sballo e quali sono gli stili che imitano. Da un lato, quindi, alcune di queste politiche rischierebbero di risultare inefficaci. Dall'altro, si rischia di non comprendere le tendenze in atto. Perché ci concentriamo solo sui fenomeni più eclatanti, quelli che fanno notizia, che piacciono ai mass media. Per fare un esempio, è poco conosciuto il fatto che i giovani, questo lo vediamo nelle nostre ricerche, passato un periodo in cui l'abuso è frequente tendono poi ad andare verso un consumo più responsabile e magari migliore di quello delle generazioni precedenti. Questi sarebbero elementi utili per far nascere riflessioni costruttive, magari che partano dalla famiglia.


L'abuso di alcol è culturalmente più tollerato rispetto alle altre sostanze? Esistono esempi simili in altre società con sostanze differenti?
Un esempio eclatante in questo senso può essere quello dei Paesi islamici. Penso al Marocco, ma anche ad altri Paesi, in cui vi è tolleranza rispetto al consumo di hashish e dei suoi derivati e molto meno rispetto a quello di bevande alcoliche. Mi viene da pensare anche agli indiani d'America, che usavano sostanze psicoattive con finalità rituali. Qui l'alcol era praticamente assente, e per nulla centrale nella loro cultura. Questi sono solo due esempi, ma quello che possiamo vedere nelle culture tradizionali, di ogni angolo del pianeta, è che vi sia un uso culturalmente regolato delle sostanze psicoattive, siano esse alcoliche o di altro genere.


(Toni Castellano)


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)