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Alcol e minori, cosa ci dicono i nostri figli...

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ALCOL E MINORI, COSA CI DICONO I NOSTRI FIGLI


Di ANTONIO POLITO

 

Ci diciamo spesso, e scriviamo, che il disagio sociale nasce dalla povertà. Interpretiamo ogni devianza come un fenomeno sociale. Attribuiamo alla crisi economica tutto ciò che sta cambiando intorno a noi. E forse sbagliamo. Prendete la storia dei nostri ragazzi che bevono. Che si ubriacano di cicchetti a basso costo, in bar che violano la legge vendendoli a minorenni. È un fenomeno che sta provocando un grande allarme nelle nostre città. Succede in gruppi sociali borghesi, talvolta addirittura benestanti, in quartieri eleganti come Chiaia e il Vomero a Napoli o Murat e Poggiofranco a Bari. La povertà non c'entra niente, la disoccupazione giovanile nemmeno. È un fenomeno culturale. Ho chiesto ad alcuni teenager che frequento per motivi familiari: perché lo fate? Mi hanno dato le seguenti risposte: perché è una droga «legale»; perché non hanno stimoli e si annoiano; perché così si sentono fighi; perché è un modo per farsi accettare dagli amici coetanei che lo fanno; per andare contro le regole imposte dai genitori e conquistarsi così una loro autonomia da «grandi».


Ognuno di voi può scegliere quella che gli sembra la motivazione più convincente. Fatto sta che sono tutte spiegazioni culturali, o psicologiche, o morali. Non sociali. Ne consegue che niente può farci lo Stato, o la Politica, o il Governo, tutte queste entità con la maiuscola cui di solito attribuiamo i nostri guai. Questa è una vicenda che possono risolvere solo le famiglie, i genitori, gli educatori: noi. In primo luogo i genitori. Si sa che si educa solo mediante l'esempio. Le ramanzine di un padre che beve abitualmente, usa cocktail e aperi-cene come normale modo di relazione sociale, esce tre sere alla settimana e non vede mai il figlio adolescente, al quale mette in tasca abbastanza soldi e abbastanza notti per divertirsi, le ramanzine da padri così non servono a niente.


Dovremmo chiederci quanto tempo e quanta cura dedichiamo a proporre ai nostri figli un modello di autorità che sia confronto, modello e non imposizione posticcia e casuale. Se le nostre vite non hanno messo troppo da parentesi il nostro dovere di padri etici e di madri accuditive, per trasformarci in goffi sindacalisti dei nostri figli, genitori-fratelli, semplici finanziatori dei loro desideri. Dovremmo chiederci se le nostre vite sono abbastanza piene perché lo siano anche le loro, e non si affloscino così nella noia esistenziale e nella ricerca di uno stordimento da sballo. E dovremmo farlo non solo per i nostri figli, ma anche per noi stessi. Perché se è vero che non è sempre l'economia a cambiare i valori, è vero invece che i valori possono cambiare l'economia: milioni di comportamenti individuali e familiari sbagliati, sommati, possono infatti produrre una società sbagliata, ferma, impaludata, incapace di rischiare e di crescere, come è oggi quella italiana, e nel nostro Mezzogiorno in particolare.


Lo spiega bene nel suo ultimo libro Luca Ricolfi, «L’enigma della crescita». Quando segnala come in questa specie di «società signorili» che stanno diventando anche quelle mediterranee, i giovani godano, per la prima volta nella storia, di tre privilegi: «Sono liberi di studiare poco e male; possono prolungare indefinitamente il periodo degli studi; possono ritardare di anni e anni l’inizio della vera carriera lavorativa perché non cercano un lavoro qualsiasi ma un lavoro che sia all’altezza delle loro aspirazioni».


Perché se è vero che una grande parte della disoccupazione giovanile è obbligata, sarebbe ipocrita negare che ce n’è anche una bella fetta «volontaria», soprattutto nei quartieri bene delle nostre città, dove i figli sanno di poter contare sui risparmi e sull’aiuto della famiglia. E questa «deriva signorile», secondo Ricolfi, «si manifesta nella vocazione consumistica». Che comprende «quella forma specialissima di consumo opulento che consiste nell’estensione del tempo dedicato ad attività piacevoli, gratificanti o capaci di conferire prestigio». Per esempio: bere a quattordici anni. Vedete come siamo arrivati lontani, partendo dalle sbornie del venerdì sera dei nostri figli? Abbiamo dunque un grande lavoro da fare.


(...omissis...)
 


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/palermo/notizie/cronaca/2014/15-marzo-2014/alcol-minori-cosa-ci-dicono-nostri-figli-2224216496492.shtml


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)