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Alcol e pericoli per la salute: tra allarmismi e revisioni scientifiche

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Alcol e pericoli per la salute. Tra facili allarmismi e revisioni scientifiche
Scienziati chiedono revisione di articolo su Lancet: l’alcol da terzo fattore di rischio globale di malattia, “ridimensionato” al quinto posto


di Michele Contel


Ci sono notizie riportate da tutti. Altre notizie vengono citate solo da alcuni. Altre ancora non vengono riprese da nessuno. Talvolta è un caso, talvolta è sfortuna. Ma talvolta proprio no; talvolta è la natura della notizia a rendere problematico il pubblicarla. Ci si riferisce qui all’informazione più preziosa: l’informazione scientifica sulla salute, qualcosa da cui, lo capiamo tutti, dipende molto della qualità della vita di tutti. Giornali, siti web e riviste anche generalisti, abbondano quotidianamente di notizie relative alla pericolosità di questo o quel componente nutrizionale, del tale effetto collaterale dei farmaci, di questa o quella preparazione alimentare, spesso rivelando aspetti che contravvengono a informazioni derivanti da ricerche precedenti e causando non poca preoccupazione a chi, cittadino e consumatore senza conoscenze specifiche, si basa sulla comunicazione rapida dei media.


Per molti versi è bene che sia così. L’impresa scientifica è tanto più preziosa ed efficace quanto più concorre a accrescere le nostre conoscenze. Queste sono per loro natura imperfette e migliorabili. Molte sono le conoscenze acquisite, ma ancora di più sono le conoscenze che attendono conferma o che possono subire significative correzioni prima di diventare informazione sicura e consolidata. I casi dubbi abbondano. In altre situazioni la conoscenza è ancora insufficiente. L’interpretazione dei dati in molti casi non dà risultati in bianco e nero. L’incertezza è parte integrante dello sviluppo della conoscenza. La scienza ha bisogno di riconoscere – e talvolta alimentare – l’instabilità delle conoscenze per progredire. Ma in mezzo, e in attesa delle nuove conoscenze, bisogna pur vivere con qualche regola sicura (o almeno non troppo insicura).


In questo contesto merita attenzione un fatto apparentemente tecnico che ci mostra una lezione di grande interesse, per chi fa ricerca e per chi comunica. A dicembre 2012, quella che è forse la più prestigiosa e conosciuta rivista medica del mondo, Lancet, ha pubblicato un lungo contributo firmato da un centinaio di eminenti clinici ed epidemiologi di tutto il mondo (Lim SS, Vos T, Flaxman AD, et al. A comparative risk assessment of burden of disease and injury attributable to 67 risk factors and risk factor clusters in 21 regions, 1990—2010: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2010. Lancet 2012; 380: 2224—60). Lo studio analizza, a partire da una mole impressionante di letteratura e sofisticate metodologie di calcolo, l’impatto di 67 fattori di rischio per la salute in 21 regioni a livello mondiale. Si tratta di uno studio di grandi proporzioni finanziato dalla Bill and Melinda Gates Foundation che si avvale delle metodiche accreditate anche negli studi OMS per la stima del burden of diseases. L’analisi cerca evidenze su numerose patologie analizzando studi che prendono in considerazione la relazione tra esposizione a certi rischi ed esiti patologici su un arco temporale ventennale (1990-2010). Tra i fattori di rischio considerati c’è naturalmente anche il consumo di alcol. L’esito dell’analisi pubblicato rivela che l’alcol è, sull’insieme delle patologie, il terzo fattore di rischio, dopo l’ipertensione arteriosa e il fumo (incluso il fumo passivo). A seguito della pubblicazione alcuni scienziati hanno chiesto di rivedere l’esito della graduatoria di sintesi. Secondo il ricalcolo così determinato l’alcol scende dal terzo al quinto posto come fattore di rischio, sopravanzato dall’inquinamento domestico e dalla dieta povera di frutta Lancet, in data 13 aprile ha recepito e pubblicato la revisione fornendo accesso sul proprio sito on line, ad una nuova versione riveduta e corretta dell’articolo (vd. Tabella). Fin qui tutto bene. E’ proprio della buona prassi scientifica segnalare con puntualità errori e imprecisioni che è dovere degli autori e degli editori di riviste correggere e pubblicare con ampia pubblicità.


Questa notizia trova spazio sui giornali italiani?
La comunicazione vive spesso di vicende personali e di storie che puntano a spiegare ma anche ad impressionare. Questo effetto si ottiene alimentando abitudini e modi ricorrenti di presentare le notizie. Sull’alcol lo schema ricorrente è quello della denuncia allarmata della diffusione dei comportamenti nocivi e a rischio soprattutto tra i più giovani. I dati citati in modo più o meno corretto sono spesso il corredo e non il centro della comunicazione. Ciò che si deve ricordare è ciò che alimenta preoccupazione e pericolo. In questo tipo di comunicazione la notizia allarmante fa più notizia di quella rassicurante. Come se l’informazione conoscesse una asimmetria sistematica tra correttezza e appetibilità della notizia, sempre e comunque a favore dell’appetibilità.


Nel caso dell’alcol il quadro è complicato da considerazioni economiche. L’alcol, si afferma, è una merce con alle spalle potenti interessi industriali sempre disposti a minimizzare i rischi e i danni del bere. Ricerche che mettono in dubbio, anche con molta prudenza e circospezione, la conclamata pericolosità delle bevande alcoliche su ampie fasce di popolazione sono automaticamente tacciate di collusione con interessi organizzati e di scenari di violazione delle buone prassi scientifiche. La buona prevenzione si deve rappresentare sempre con la missione del disarmo degli interessi legittimi ma comunque contrari alla salute. La posta in gioco che viene da questo assetto è la difesa di programmi e politiche di prevenzione e cura e, in ultima analisi, il potere di organizzare senza interferenze regolamenti e leggi di settore. Parlare bene una volta di ciò di cui sempre si parla male è difficile e forse impossibile.


L’ambiguità in questo campo non è l’eccezione, è la regola. La stessa ricerca scientifica rigorosa conosce zone grigie e oscillazioni, anche larghe, tra incertezza e ragionevole certezza di un fenomeno. Nel caso del rapporto tra alcol e malattie la rilevazione dei comportamenti delle persone è difficile e non sempre attendibile, (sul fumo i ricercatori hanno informazioni molto più precise). Ma Lancet propone nel suo articolo una riflessione mondiale sul problema, che non nega la problematicità del tema alcol nei paesi a più alto consumo – i paesi del mondo occidentale ad alto sviluppo - ma ridimensiona, quando necessario, indici e indicatori. Questo vuol dire che qualcuno vince e qualcuno perde? No. Significa solo che chi ha a cuore la comprensione dei fenomeni deve utilizzare ogni singolo mattone dell’impresa scientifica e valutarlo per quello che è: un contributo a conoscenze migliori da ottenere in futuro.
Ecco perché è auspicabile che l’articolo di Lancet è la sua revisione trovino vasta eco e richiamo anche nella stampa non specialistica.


http://www.alcol.net/images/newsletter/news%2010.pdf


Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)