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Alcol ed educazione: dialogo possibile?

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ALCOOL ed EDUCAZIONE: un dialogo possibile


Di Fulvio Di Sigismondo
Educatore Professionale


Inizierò raccontandovi un'esperienza: alcuni anni fa in occasione di una festa di piazza a Genova mi capitò di assistere alle evoluzioni di un funambolo che con il solo aiuto di una lunga asta per mantenersi in equilibrio, sospeso su una fune ad alcune decine di metri da terra, attraversava l'intera piazza De Ferrari, dal palazzo della Fondiaria fino al Carlo Felice.
Ricordo la gente e me stesso seguire con ansia e partecipazione quel procedere faticoso ed incosciente, fatto di costante ricerca di equilibrio. Lui lassù e noi in basso, impotenti spettatori di quel percorso obbligato, seppur scelto, ed inevitabile.


Sulla piazza scese un silenzio totale, tutti con il naso all'insù tesi, attenti a cogliere i minimi tentennamenti, le brevi avanzate decise, gli improvvisi stop, le oscillazioni angoscianti, i recuperi di quell'interminabile procedere. Alcuni si immedesimavano nel funambolo e lo mimavano finché, imbarazzati, non se ne rendevano conto, altri non riuscivano a sostenerne la visione e guardavano altrove, alcuni ne criticavano l'incomprensibile incoscienza propria di "chi se le va a cercare", altri ancora bisbigliavano suggerimenti ed incoraggiamenti poiché nessuno si sarebbe mai e poi mai potuto permettere di urlare. Distanti da lui gli eravamo vicinissimi. Poi, finalmente, il funambolo approdò e scoppiò un enorme boato, un sollievo, una gioia.
Dall'alto ci salutò con la mano e sparì, pronto a ripetere le sue pericolose evoluzioni lontano dai nostri occhi.


Mai esperienza mi è parsa più idonea a rappresentare metafora della relazione esistente tra educatori ed adolescenti, convinto come sono che alla base di ogni processo educativo efficace vi debba essere quell'atteggiamento di "tenerezza rispecchiante", quello "sguardo di ritorno" che punti a confermare la bellezza delle imprese che l'adolescente compie affrontando il compito arduo e faticoso di attraversare il "tempo della metamorfosi" che l'adolescenza stessa rappresenta.


Ma che bella visione poetica delle cose!!! Peccato che oggi noi non si sia qui a parlare di acrobati e giocolieri, ma di problemi seri, di alcool, di trasgressione, di rischio!!.! Ed è certo che di fronte alla multiforme varietà delle trasgressioni che gli adolescenti manifestano, noi adulti, consapevoli della nostra responsabilità di adulti, ci ritroviamo ansiosi, preoccupati e dubbiosi. Molte domande possono affollare la mente di chi agli adolescenti vuole bene e vuole il loro bene. In me, nelle persone che lavorano con me, le domande che spesso ritornano suonano così: "come lasciarli andare senza lasciarli soli?", "come esserci e contribuire positivamente all'inevitabile e necessario percorso di separazione cui l'adolescente aspira, come il funambolo alla propria meta?" "Come gestire il tempo di questo incontro e le difficoltà che esso comporta, soprattutto quando nella relazione irrompono gli elementi disturbanti della trasgressione?"


E ancora: "è utile punire o è meglio perdonare?" "Come evitare di esagerare?" ma anche: "come evitare di sorvolare?", "come far sì che non siano le nostre ansie piuttosto che la nozione del giusto o dell'ingiusto a regolare la relazione educativa?" L'esperienza di lavoro che conduciamo all'interno dei Centri di Aggregazione Giovanile, la condivisione dei metodi e delle strategie relazionali con le quali affrontiamo quotidianamente il rapporto con gli adolescenti che frequentano i Centri (gli stessi che hanno risposto all'intervista sull'alcool) ci permettono di formulare alcune ipotesi, alcuni suggerimenti possibili, alcuni tentativi di rispondere ai dubbi che prima ho espresso.


La premessa a tali tentativi di risposta consiste nell'affermare l'importanza del fatto che gli adulti che si occupano di adolescenti condividano l'opinione che il comportamento trasgressivo è una forma di comunicazione, una manifestazione, spesso inconsapevole di intenti e, in qualità di adulti assumano la responsabilità di fornire risposte a questa comunicazione.


Partendo da questa premessa riteniamo di affermare che, in adolescenza, ogni eccesso di controllo dettato dall'ansia si rivela oltre che inutile dannoso, in quanto in grado di ostacolare il compito evolutivo verso il quale l'adolescente tende: quello di separarsi. Le sue nuove esigenze di autonomia devono essere rispettate e sostenute. Ciò non significa rendersi invisibili agli occhi e ai sensi dei ragazzi, anzi. Non sto certo sostenendo l'opportunità che gli adulti abdichino di fronte alla loro responsabilità di porre nella relazione regole ragionevoli, sostenute dalla propria credibilità di adulti impegnati nella relazione educativa, così come non sostengo l'opportunità che gli adulti si sottraggano all'onere e alla fatica di sostenere conflitti cui gli adolescenti invitano instancabilmente e con tecniche di provocazione davvero sopraffine! Anche il bisogno di un adolescente di essere controllato (sicuramente tra i bisogni di un adolescente il bisogno meno espresso direttamente!) va riconosciuto ed assecondato, ma deve farsi, per così dire, indiretto, fondarsi su indizi- piccole variazioni di umore, segnali di fatica, momenti di stanchezza, deve fondarsi sullo valorizzazione degli atteggiamenti positivi che gli adolescenti sanno manifestare - che richiedono il nostro interesse ed il nostro conforto. Più sapremo prestare attenzione a questi "rumori di sottofondo", meno i ragazzi avvertiranno la necessità di avvertirci con il megafono. Sperimentando inoltre che soltanto quando "urlano" si finisce con il parlare di loro... Sappiamo perfettamente che ogni adolescente, decidendolo è in grado di realizzare i propri comportamenti trasgressivi a riparo dagli occhi "vigili" degli adulti.


L'invito è a superare l'illusione genitoriale che i nostri ragazzi siano "al sicuro" solo nel chiuso delle loro stanze, nelle nostre case. L'invito è ad affrontare l'ansia che proviamo di fronte a qualcosa o a qualcuno che ritenevamo di conoscere benissimo e che ora ci appare diverso. Per anni abbiamo acceso il televisore e ci è apparso una immagine nitida, ora l'immagine è offuscata. Non ci occorrerà di certo acquistare un televisore più grande per catturare l'immagine che ci è sfuggita! Troppo facile E' sulla sintonia che ci toccherà di lavorare. Per cui mentre lo nostra fine attenzione può spingere un ragazzo ad aprirsi a condividere, alla comunicazione, per contro la nostra ossessione di controllarlo può spingerlo verso la banalizzazione o la ridicolizzazione del nostro atteggiamento verso il definitivo rifiuto della relazione o, addirittura, generare un incremento dei comportamenti trasgressivi. Un adulto realmente interessato alle sorti di un ragazzo adolescente, rispettoso della sua autonomia nonché dei suoi errori, un adulto presente nei lunghi tempi richiesti da ogni relazione educativa può costituire per un adolescente una risorsa assai più efficace di ogni forma di predica o di raccomandazione.


Avviandomi alla conclusione del mio intervento voglio ribadire che il vero deterrente allo tragressione è la comprensione empatica, il tentativo faticoso ed affascinante di mettersi nei panni altrui. La ricerca costante, quasi instancabile del dialogo può rappresentare un vero e proprio antidoto alla superficialità, alla assenza di percezione del rischio legato alla pratica di abitudini pericolose. La comprensione dei bisogni emotivi dei ragazzi, il rispetto dei loro diritti, offerta loro come dato concreto esperienziale protratto nel tempo, (stare con loro accettandone il "cazzeggio" ricercando il confronto su un tema passando attraverso il testo di una canzone, la visione di un film, il racconto di un concerto o di una serata a teatro, la condivisione di una poesia, il prestito di un libro) rappresentano la forma di prevenzione e di affronto più efficace della trasgressività, rendendo i ragazzi attenti a sé stessi ed alla realtà che li circonda, riflessivi , capaci e competenti a praticare il rispetto per sé stessi e gli altri. E' questo tentativo di comprendere che, se percepito come autentico, può aprire le porte ad una comunicazione vera dove i comportamenti trasgressivi possono trovare una collocazione, un senso, una possibilità di essere smascherati come risposta maldestra ad un disagio personale o relazionale diversamente affrontabile.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)