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Alcol in gravidanza: necessaria più prevenzione e sensibilizzazione

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Prima di bere vedi se sei incinta

Nelle toilette femminili di un pub di Minneapolis è stato installato un distributore di test di gravidanza (costo, poco più di 2 euro). Simona Pichini, ricercatore dell'Osservatorio del ministero: "Importante richiamare l'attenzione sul problema"

di Maria Egizia Fiaschetti


Bere con moderazione, per evitare danni alla salute e comportamenti antisociali (risse, schiamazzi, atti vandalici e in generale, tutti gli eccessi delle maratone alcoliche). Si moltiplicano, in Italia, le campagne di sensibilizzazione nei locali - dagli alcol test alle tabelle alcoliche, dalle campagne informative alle "camere di decompressione" (prima della chiusura, si servono solo soft drink) - per incentivare il consumo responsabile. L'ultima novità, destinata a far discutere, arriva dagli Stati Uniti, dove lo sballo etilico tra gli adolescenti è pratica diffusa. Con rischi maggiori per le ragazze incinte, ancor più se inconsapevoli di esserlo. Motivo per cui, nello Stato del Minnesota, si sta sperimentando un insolito metodo di prevenzione. Succede al Pub 500 di Mankato, una cittadina a sud di Minneapolis, dove nelle toilette femminili è stato installato un distributore di test di gravidanza (costo, poco più di 2 euro). Per la serie: prima di ordinare una birra o un cocktail, meglio essere sicure. A lanciare l'idea è stata l'organizzazione no profit Healthy Brains for Children, impegnata nella lotta contro la sindrome feto-alcolica. Con uno slogan inequivocabile: "Think before you drink" (pensaci, prima di bere).


Secondo uno studio dell'americano Center for disease control su gestanti di età compresa tra i 18 e i 44 anni, il 7,6 per cento (una su 13) fa uso di alcol e l'1,4 beve in modo estremo. Jody Allen Crowe, direttore esecutivo di Healthy Brains for Children, sottolinea come evitare il consumo di bevande alcoliche in gravidanza sia uno dei principali fattori di prevenzione contro malformazioni e ritardi nello sviluppo. Da cliente del pub, ha pensato di testare l'iniziativa in un luogo molto frequentato dai giovani. E Tom Frederick, uno dei proprietari del locale, ha subito accettato: "Ci è sembrata una buona causa - spiega - siamo sempre coinvolti nelle questioni che interessano la comunità". Lo spazio è offerto a titolo gratuito, senza incassare un centesimo (i proventi vanno alla onlus). Il prossimo passo sarà quello di installare altri cento distributori nella zona. I canali della medicina ufficiale, per ora, sono cauti: "Un test di gravidanza di facile accessibilità e a costi ridotti in una struttura che serve alcolici può aiutare a compiere una scelta responsabile" valuta il dottor David Garry, che presiede la Commissione Alcool e Donne del Congresso americano degli ostetricia e ginecologia. Le informazioni, però, andrebbero integrate: "Il test, da solo, non basta - obietta Garry - Bisognerebbe spiegare come interpretare il risultato, positivo o negativo, sensibilizzare al sesso consapevole e alla prevenzione della sindrome feto-alcolica". Simona Pichini, primo ricercatore dell'Osservatorio fumo alcol e droghe dell'Istituto Superiore di Sanità, approva l'iniziativa nel pub del Minnesota: "È fondamentale richiamare l'attenzione sul problema - sostiene - anche in modo dirompente. Negli Stati Uniti, il rapporto tra bambini che nascono sieropositivi e quelli nati con sindrome feto-alcolica è di 1 a 120".


E in Italia? "Purtroppo non abbiamo dati perché, malgrado le nostre continue richieste, il ministero della Salute non ha finanziato studi in questo settore". Tra le poche ricerche, quella svolta dalla dottoressa Pichini sull'esposizione prenatale all'alcol in sette neonatologie sul territorio nazionale. Risultato: "La soglia più bassa, del 7,9%, è in Veneto ma raggiunge lo zero in città ricche come Verona e Belluno: la Regione investe molto in informazione e i risultati sono evidenti". Roma segna il record negativo, con il 29% registrato nel reparto di neonatologia del Policlinico Umberto I. In attesa che si trovino i fondi per avviare uno screening accurato (on line, si può consultare la Guida alla diagnosi dello spettro dei disordini feto-alcolici) l'imperativo categorico è: niente alcol in gravidanza. "Non sappiamo quale sia la quantità dannosa - chiarisce la studiosa - né in quale fase della gestazione". I rischi dell'esposizione all'alcol per il feto sono elevati: disabilità neuro-comportamentali permanenti. Non solo. Tra i fenomeni in crescita, si segnala l'alta incidenza (nel 90% dei casi) della sindrome feto-alcolica in bambini adottati dai Paesi dell'Est Europeo: "Perciò, e lo dico da madre adottiva - sottolinea Pichini - sarebbe necessario promuovere corsi per il personale che si occupa di adozione ma, più in generale, per gli operatori sanitari".


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)