Alcol: Mauro Corona racconta come ha superato la sua dipendenza
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Così l'alcol si sta bevendo la nostra meglio gioventù
di Mauro Corona
Mauro Corona racconta come ha superato la sua dipendenza.
I più stupiti di solito sono i genitori: «Pensavamo che fossero soltanto delle sbronze». Invece il baby alcolista ha gli occhi spenti e la vita segnata. Uno di quei cinquecentomila ragazzini italiani che nella deriva delle notti ubriache di milioni di adolescenti, perdono la testa.
Loro però si danno fuoco con l'acquavite. Non spaccano le vetrine perché preferiscono spaccare se stessi. Ho anche scritto un piccolo libro sull'argomento, intitolato Guida poco che devi bere( Mondadori). Ai miei occhi si tratta di un fallimento, di un modo per ridurre il danno più che di evitarlo. Ma mi sono reso conto che pretendere che i giovani non bevano è come pretendere che non piova. Lo so bene io che vengo dall'alcolismo e che non ne sono mai uscito. L'ho solo sospeso da qualche anno. Perché dall'alcol non si esce mai davvero: questa è la prima cosa che bisogna dire ai giovani e che deve essere chiara.
Io ho cominciato con il vino a undici-dodici anni, si può dire che abbia imparato a bere in compagnia di mio nonno. All'epoca era un dovere per un uomo che volesse dirsi tale, soprattutto in montagna. Ma si trattava di un'altra epoca e di un'altra vita, le sbornie si smaltivano con il lavoro nei campi e nei boschi. E poi si beveva per condividere. Ora si beve per diventare pazzi, per uscire da sé. Ma gli effetti, devastanti, sono gli stessi. Seguire alcune regole, come ho detto nel mio libro, può aiutare a limitarli. La cosa più importante da tenere a mente è che volersi fare del male non autorizza a farlo anche agli altri. Per cui: non abbandonare mai un amico ubriaco. Io l'ho fatto con un carissimo amico d¿infanzia: lo lasciai da solo e lui precipitò in un burrone. Avrò per sempre la sua morte sulla mia coscienza. E poi non bere mai in luoghi pericolosi come scogliere e rifugi alpini. Non mischiare tipi diversi di alcol e possibilmente bere solo vino, ma di quello buono. E soprattutto far guidare qualcun altro se si è ubriachi, e avere sempre sull'auto un kit con coperta sacco a pelo e torcia elettrica. A volte basta pochissimo, anche venti minuti di sonno, per ritrovare la lucidità. Ma quello che bisognerebbe fare davvero è avere il coraggio di chiamare i genitori quando si è in difficoltà. Purtroppo nessuno lo fa, per paura di essere puniti e giudicati.
Perché l'alcol è ancora un tabù, mentre bisognerebbe parlarne a scuola, fin dall'asilo. Addirittura prima dei sei anni, perché da noi in montagna si dice che a sei anni un albero è già storto, bisogna intervenire prima per fargli ritrovare la dirittura. Smitizzare l'alcol innanzitutto è fondamentale perché elimina quell'alone di trasgressività che è proprio ciò che affascina di più i giovani, oltre alla sua capacità di far perdere i freni inibitori. Invece bisogna educare i ragazzi a bere bene, ma anche a non averne bisogno per compensare le insicurezze, certe fragilità psicologiche. Io stesso sono diventato alcolizzato perché soffrivo la timidezza, che a volte mi frenava perfino quando camminavo per strada. E pensare che il vino neanche mi piaceva, avrei di gran lunga preferito una cioccolata calda! Ma dovevo comportarmi da uomo e quindi bevevo. E poi quando ero sobrio mi sentivo un povero diavolo, un fallito, mentre con qualche bicchiere non avevo più paura di nulla. Alla lunga però tutto questo mi ha annientato la vita e gli affetti. Perché l'alcol non fa male solo a chi lo usa, i peggiori effetti collaterali riguardano chi ci vuole bene. Inoltre di tratta di un nemico subdolo.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://ilmiolibro.kataweb.it/booknews_dettaglio_recensione.asp?id_contenuto=3751545
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)