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Alcol: quantro storie in cerca di "un finale migliore"

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Quella molla che scatta
 

Quando, dopo mesi che non bevo, ad un tratto mi viene la voglia di bere una semplice birra, questa molla che scatta in me, come faccio a reprimerla, a scacciarla?? Poi rinizio a bere e poi mi faccio ricoverare per disintossicarmi, perchè inizia tutto il mio calvario, bevo sempre di più, poi mi sento male e l’unico rimedio è la clinica. Ma quella famosa molla che scatta, con cosa riesco a fermala? Grazie


Ciò che lei definisce “molla” è un fenomeno ampiamente studiato negli ultimi 20 anni circa nella medicina delle dipendenze ed ha un termine preciso, “craving”, parola inglese che indica un desiderio fortissimo ed incoercibile di assumere una sostanza psicotropa (nel suo caso, l’alcol). Il craving determina proprio ciò che lei descrive, la perdita di controllo dopo il primo bicchiere e il fatto che “il primo bicchiere sia legato all’intera bottiglia” (come descritto dagli Alcolisti Anonimi già dagli anni 30) e sottolinea quanto sia importante, nel suo caso, mantenere la totale astensione da bevande alcoliche (piu che avere come obbiettivo la riduzione dell’assunzione) . La gestione del craving può avvenire essenzialmente in due modalità, una comportamentale (terapia di supporto psicologico, individuale e/o di gruppo – AA o CAT) ed una farmacologica. A tale proposito, sono stati individuati diversi farmaci efficaci a contrastare il craving e nel nostro Paese sono approvati con tale indicazione il Sodio Oxybato, l’Acamprosato, il Naltrexone e il Nalmefene. Altri farmaci di più recente individuazione come il Baclofen, il Topiramate e l’Ondansetron sono risultati molto efficaci, ma non sono ancora approvati (sebbene si possano usare “off-label” nei Centri specializzati, vale a dire farmaci prescritti per indicazioni, modalità di somministrazione e dosaggi differenti da quelli indicati nel foglio illustrativo).  E’ fondamentale sottolineare che tali strategie terapeutiche (comportamentale e farmacologica) risultano maggiormente efficaci se effettuate in sinergia.


Prof. Giovanni Addolorato
Spec. Medicina Interna e Resp. Centro di Alcologia
Ist. Medicina Interna - Dip. Scienze Mediche Un. Cattolica di Roma
con il contributo della Dott.ssa Vanessa Isoppo - Psicologa Psicoterapeuta

Steatosi epatica dopo un passato di abuso


Buongiorno. Per alcuni anni ho abusato di alcolici (ho 47 anni) e si è generata una “steatosi epatica diffusa” con aumento di trigliceridi nel sangue. Volevo sapere se le due cose possono essere collegate e se il processo è irreversibile. Grazie Antonio


Buongiorno Antonio, per quanto possibile e verosimile che la sua steatosi (comunemente detta “fegato grasso”) sia “eredità” del suo abuso passato, non si possono escludere altre cause. Per rispondere il più correttamente possibile alla sua domanda però mancano alcuni dati fondamentali:  da quanto tempo ha interrotto l’assunzione di alcol? Quanto è stato importante, in passato, il suo abuso? E’ sovrappeso? Attualmente quali sono  i valori delle sue transaminasi? Nel caso fossero elevate, la diagnosi potrebbe essere “steatoepatite” (ASH o NASH), oltre che steatosi diffusa. Tenga presente, inoltre, che l’aumento dei trigliceridi nel sangue può anche essere determinato dalla sua alimentazione che, evidentemente, va modificata. Detto questo, se nel suo caso non ci sono altre variabili delle quali non siamo a conoscenza, la steatosi epatica si può tenere sotto controllo tramite una  dieta rigorosa associata ad eventuale terapia farmacologica. In una percentuale di pazienti la steatoepatite (NASH o ASH) può evolvere in cirrosi epatica, soprattutto se il paziente continua ad assumere/abusare di alcolici, cosa che però non mi sembra la coinvolga. Nel suo caso specifico, se continua la totale astensione da bevande alcoliche, segue attentamente una dieta corretta che le darà il suo medico, ed eventualmente riduce il suo peso corporeo, la sua steatosi avrà un decorso assolutamente benigno, e si ridurrà drasticamente.


Prof. Giovanni Addolorato
Spec. Medicina Interna e Resp. Centro di Alcologia
Ist. Medicina Interna - Dip. Scienze Mediche Un. Cattolica di Roma
con il contributo della Dott.ssa Vanessa Isoppo - Psicologa Psicoterapeuta

E’ alcoldipendenza?


Mio marito e’ alcolista vorrei aiutarlo posso fare qualcosa? Ho tentato con le buone e con le cattive senza nessun risultato.


La mancanza di informazioni non mi aiuta a risponderle nel modo preciso che merita. “Alcolista” è una diagnosi specifica; è stata formulata da un medico, magari quello di base? E’ una sua definizione memtre suo marito ha un  problema di abuso di alcol? E’ un problema che suo marito avverte come tale o il disagio è solo suo? Il fatto che lei abbia tentato con le buone e con le cattive mi fa pensare che sia stata sola in questo percorso di aiuto a suo marito (nessun addetto ai lavori tenterebbe mai “con le cattive”). Potrebbe essere importante per lei scoprire quali risorse offre il suo territorio mettendosi in contatto col Ser.T della sua zona, anche al fine di stabilire con loro la modalità migliore per “valutare” suo marito. In ultima analisi, dal momento che siamo di fronte ad una malattia vera e propria (riconosciuta tale dall’OMS) le chiedo di comportarsi di conseguenza, a prescindere dalla collaborazione o meno di suo marito, indispensabile per il percorso di disassuefazione ma non determinante per formulare una diagnosi precisa.  Occorre che lei parli chiaramente col medico di base affinché possa prescrivere a suo marito gli esami clinici indispensabili per capire l’entità del problema e gli eventuali danni che l’abuso di alcol ha provocato. Solo con questi dati in mano si potrà capire qual è il modo migliore per aiutarlo ed indirizzarlo ad un percorso specifico in base alla gravità del problema.  Una volta chiaro il quadro clinico, ogni decisione di trattamento dovrà necessariamente prevedere la messa al corrente e collaborazione di suo marito il quale dovrà in prima persona rendersi conto di avere un problema di controllo dell’alcol per poi prendere la decisione di smettere completamente di bere e mantenere una condotta di sobrietà per tutta la vita. Infine, anche ne suo caso, le suggerisco di contattare il gruppo Al-Anon; le sarà sicuramente utile, quanto meno per ricevere informazioni corrette.


Prof. Giovanni Addolorato
Spec. Medicina Interna e Resp. Centro di Alcologia
Ist. Medicina Interna - Dip. Scienze Mediche Un. Cattolica di Roma
con il contributo della Dott.ssa Vanessa Isoppo - Psicologa Psicoterapeuta


Un padre che beve di nascosto



Salve a tutti. Ho un problema di dipendenza alcolica in famiglia, mio padre. Beve vino dall’ora di pranzo fino al termine della giornata, in modo non controllato, da tantissimi anni ormai. Ne abbiamo parlato con il medico di famiglia e gli ha fatto fare varie analisi e ovviamente è risultato il colesterolo molto alto. Deve quindi fare una dieta e non bere vino, ma sembra che tutto questo non gli interessi, o meglio.. davanti a noi, non lo fa più, ma abbiamo scoperto che lo fa di nascosto, nasconde le bottiglie di 5 l , e lo finisce in un paio di giorni. Non sappiamo più cosa fare, siamo sfiniti. Ovviamente non vuole farsi aiutare, in nessun modo, infatti siamo andati dal medico senza che lui lo sappia, altrimenti quelle analisi non le avrebbe mai fatte.  Cos’altro ci consigliate di fare?  Grazie


Dalla sua lettera mi sembra di capire che verosimilmente suo padre si trova in quello stadio che viene definito “pre-contemplazione” secondo il “modello motivazionale delle fasi di cambiamento” di Prochaska e Di Clemente. In tale fase, la meno adeguata per iniziare un percorso terapeutico, il paziente non ritiene di avere realmente un problema e non si rivolge ai Centri specializzati per il trattamento di tale patologia.  Al di là di quello che possiate immaginare c’è comunque qualcosa che voi familiari potete già fare. Intanto potete cercare informazioni su cosa offre il vostro territorio per il problema della dipendenza alcolica, in modo che possiate mettere in atto delle strategie precise nel momento in cui suo padre decide di smettere di bere. A tal fine potrebbe esservi di aiuto contattare il gruppo Al-Anon, gruppo “satellite” di Alcolisti Anonimi che si occupa dei familiari dei pazienti alcolisti. In quel contesto potrete trovare sostegno psicologico ed informazioni pratiche su come affrontare la situazione e fare in modo che il paziente assuma la consapevolezza della propria patologia e del necessario trattamento (passaggio alla fase “di contemplazione” e, successivamente, alla fase “di determinazione”). E’ fondamentale continuare a mantenere buoni rapporti con suo padre cercando di evocare tale consapevolezza ed elicitare in lui dubbi sul suo rapporto con l’alcol. Non ha senso, rispetto a questo, “mettersi contro di lui”, con litigi e minacce e occorre, per quanto possibile, aspettare i tempi del paziente Inoltre, è fondamentale che ci sia chiarezza con suo padre rispetto alla modalità di affrontare il problema senza ricorrere a cose fatte “di nascosto” che, le assicuro, non portano nessun giovamento.


Prof. Giovanni Addolorato
Spec. Medicina Interna e Resp. Centro di Alcologia
Ist. Medicina Interna - Dip. Scienze Mediche Un. Cattolica di Roma
con il contributo della Dott.ssa Vanessa Isoppo - Psicologa Psicoterapeuta


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(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)