Alcol: un problema trasversale
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a cura del dr. Verrilli
Su cento emarginati e poveri a vario titolo, ottanta circa hanno dipendenza da alcol. Il problema è trasversale, per carità,
ma tra le altre fasce sociali la percentuale, almeno quella ufficiale, scende al tre per cento circa.
Sì, l'immagine classica del barbone o del "povero cristo" attaccato alla bottiglia è reale. Quali sono i motivi? C'è un modo
per affrontare l'alcolismo di chi sta ai margini della società?
Ce ne parla Ruggero Verrilli, psicologo e psicoterapeuta ormai da dodici anni in full immertion in progetti che riguardano
questo problema e dall'ottobre dello scorso anno membro del consiglio direttivo dell'Associazione Cena dell'Amicizia di
Milano, che opera da trent'anni nel mondo della grave emarginazione sociale.
"Premettiamo che all'alcol nella cultura occidentale vengono da sempre riconosciuti grandi poteri, da quello antico di
purificare, ad esempio l'acqua, o di mettere in contatto l'uomo con il nume, a quello drammaticamente moderno di saper creare
un mondo fittizio, un mondo "altro" che diventa poi "altro mondo", nel senso che di alcol si muore. D'altra parte non lo si
distribuiva forse ai soldati per infondere loro il coraggio di andare incontro alla morte?
Aggiungiamo che è una sostanza legale e facilmente reperibile ovunque e si spiega senza tanti misteri perché l'alcolismo
sia così diffuso fra le persone che non possono affrontare la vita così com'è perché troppo dura. Il legame alcol-povertà è
poi doppio e ritorto su se stesso: chi beve diventa povero, povero innanzitutto di legami affettivi e relazionali e si
sradica dal contesto familiare, sociale e lavorativo, con tutto quel che ne consegue. D'altro canto la povertà,
l'emarginazione, il disagio, la solitudine, portano all'alcolismo e questo è lampante nei momenti di crisi economica,
culturale e sociale, quando aumenta la richiesta di sostegno a chi abusa di alcol.
E' possibile recuperare queste persone?
E' necessario fare una distinzione fra chi arriva all'alcol per superare un momento di crisi, ma ha alle spalle una storia
di affetti e relazioni sociali e lavorative, e gli "emarginati costituzionali", che invece questa storia non sono mai
riusciti a costruirla, spesso per una patologia mentale.
Gli interventi su questi ultimi sono molto problematici: per salvar loro la vita una volta si arrivava assurdamente a
negargliela rinchiudendoli in un istituto psichiatrico, collocando una facciata funzionale alla società benpensante; oggi
invece, si preferisce troppo spesso ignorare il problema.
Le due soluzioni non sono servite in passato e non servono assolutamente ad aiutare la persona a recuperare la propria
dignità e a uscire dal problema. I primi invece, coloro che spendono alcuni anni della loro vita nell'alcol, anche se con un
percorso lungo e faticoso, potrebbero disintossicarsi e tornare alla vita normale e sarebbe doveroso sostenerli: ma anche per
questo ci sono mille difficoltà, perché il numero di strutture pubbliche per alcolisti è vergognosamente insufficiente e di
gran lunga inferiore a quello per la tossicodipendenza, problema molto meno diffuso, ma che fa più paura perché legato alla
delinquenza e fa anche più... audience. Il barbone alcolizzato insomma è più accettato, quasi un arredo urbano, innocuo e...
folkloristico...
Sta di fatto comunque che per un alcolista riprendersi la propria vita è molto difficile, per una questione strutturale:
quella stessa società che non fa a per evitare i processi di impoverimento, sia materiale sia morale, che portano
all'alcolismo, negato come problema, ha grossissime difficoltà a riaccogliere nei circuiti lavorativi e sociali l'alcolista
che cerca di guarire e recuperare la propria dignità. Spesso, è solo in grado di offrire dei ripieghi "protetti" che lo
mantengono ai margini della società e che sono fondamentalmente dei mondi fittizi, esattamente come fittizio era il mondo
alcolico che ha con fatica abbandonato. E questo genera tanto dolore.
Ciò non significa che non si creino situazioni di totale recupero e reinserimento, ma le difficoltà sono enormi e la strada è
molto lunga. Non c'è una formula magica per la risoluzione del problema alcol, ma questo tipo di impostazione sociale crea
delle barriere davvero altissime.
Un suggerimento per i volontari che si trovano a contatto con emarginati alcolizzati? Fate sentire loro la vostra amicizia,
state loro vicini, ascoltateli, ma toglietevi dalla testa di poterli "salvare" : è più utile un'umile presa di coscienza
della realtà che non partire lancia in resta contro i mulini a vento..."