338-1938888 o 331-2460501/2/3 o 0172-55294[email protected]

News di Alcologia

Alcolismo e famigliarità: i risultati di una ricerca scientifica

cufrad news alcologia alcol alcolici alcolismo famigliarità


Scienziati trovano collegamento genetico agli effetti dell'alcol soggettivi
È opinione diffusa che le persone più a rischio di soffrire di alcolismo sono quelle che hanno un parente stretto con problemi di alcol.

Tuttavia, nessuno è stato in grado di far luce sulla questione... fino ad ora. Alcuni ricercatori dell'Università di Göteborg, in Svezia,

hanno scoperto che le persone che hanno un parente stretto alcolizzato reagiscono in modo più positivo all'alcol rispetto agli altri.

Pubblicato nella rivista Alcoholism: Clinical & Experimental Research, lo studio si è concentrato su un ampio gruppo di persone che hanno un

parente stretto con l'alcolismo di tipo I. In passato la maggior parte degli studi ha indagato popolazioni più limitate, come ad esempio i

figli di padri alcolisti.
Gli scienziati hanno individuato due tipi di alcolismo: il tipo I e il tipo II. Il primo è legato all'interazione di fattori genetici con

l'ambiente, ad esempio tra ambiente sociale ed esperienze di vita. Il tipo II, invece, si basa sul forte rischio genetico di sviluppare una

dipendenza da alcol, a prescindere dall'ambiente.
"Lo studio è singolare in quanto abbiamo studiato come i figli degli alcolisti di tipo I sperimentano gli effetti dell'alcol e confrontato

questi dati con le esperienze del gruppo di controllo, che consisteva di persone che non avevano una storia di abuso di alcol in famiglia",

ha spiegato la dottoressa Anna Söderpalm-Gordh, dell'unità di biologia delle tossicodipendenze - Istituto di Neuroscienze e fisiologia presso

l'Accademia Sahlgrenska dell'Università di Göteborg. "Il gruppo costituito dai figli di alcolisti di tipo I era in buona salute e non aveva

problemi di salute mentale, e non avevano essi stessi problemi di alcol".
Ai fini del loro studio, i ricercatori hanno somministrato una moderata quantità di alcol o placebo - sotto forma di succo di frutta - ad un

gruppo di 51 partecipanti (34 uomini e 17 donne). Non è stato impiegato alcun processo di selezione per determinare chi riceveva cosa; le

bevande sono state distribuite a caso.
Dalla ripartizione è emerso che 29 partecipanti facevano parte del gruppo di controllo e 22 erano membri del gruppo con un membro della

famiglia affetto da alcolismo di tipo I. I ricercatori hanno poi chiesto ai membri di entrambi i gruppi di descrivere come avevano

sperimentato gli effetti dell'alcol.
I loro dati hanno mostrato che i partecipanti con un membro della famiglia con alcolismo di tipo I hanno segnalato effetti più positivi e più

stimolanti dovuti all'alcol rispetto ai membri del gruppo di controllo. Questi partecipanti hanno trasmesso il loro bisogno di bere più alcol

rispetto a quelli del gruppo senza fattori ereditari, hanno detto i ricercatori. Pertanto, secondo loro, i risultati supportano la teoria che

i figli di alcolisti di tipo I ereditano una qualche forma di esperienza positiva legata all'assunzione di alcol.
"Questi risultati dimostrano che alcune persone sono più sensibili agli effetti gratificanti dell'alcol: reagiscono all'alcol in maniera più

forte e più positiva rispetto ad altri", ha spiegato la dottoressa Söderpalm-Gordh. "Questo può, a sua volta, portare ad un consumo maggiore e ad un elevato rischio di abuso di alcol. I risultati suggeriscono inoltre che i figli di alcolisti di tipo I, ritenuti di correre un minor rischio ereditario di sviluppare dipendenza da alcol, potrebbero comunque essere in pericolo di sviluppare l'alcolismo".
I risultati sono significativi, soprattutto perché circa il 40% della popolazione svedese ha almeno un parente stretto che ha problemi di

alcol, dice la dottoressa.
"Ogni singola esperienza relativa all'alcol è uno strumento importante per capire perché alcune persone sviluppano l'alcolismo; ma potrebbe

anche essere un indicatore di per sé dell'evoluzione del consumo di alcol di un individuo", commenta la dottoressa Söderpalm-Gordh. "La

nostra scoperta è parte del lavoro di prevenzione per aiutare certi gruppi di persone che corrono il rischio di bere troppo alcool."

 

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)