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Allarme giovani e droga: in aumento i quindicenni

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Il dipartimento Dipendenze dell'Ulss 20 ha fatto il punto con l'assessore regionale Valdegamberi. L'età continua a scendere. La maggior parte consuma erba, molti la cocaina. L'eroina? Inalata, non in vena
Verona. Chiara è una diciassettenne, minuta, fragile. Fa uso di droga e vuole smettere. Per questo ogni giorno varca la soglia del centro diurno del dipartimento delle dipendenze. Dal lunedì al venerdì si impegna in attività psico-educative, frequenta i laboratori espressivi e partecipa ai gruppi di confronto con altri undici ragazzi. Hanno storie diverse, personalità che non si assomigliano ma li accomuna la dipendenza, dalla droga, dall'alcol. Non importa se il tiranno di cui sono prigionieri è la cocaina, l'eroina, la cannabis. Quello che conta è il perché. Perché si decide di farsi amica una sostanza che può anche uccidere. «Fino ad un anno e mezzo fa il più giovane del mio gruppo aveva 24 anni. Oggi quella è l'età del più vecchio».
La dottoressa Antonella Berti Taini è la psicologa responsabile del dipartimento delle Dipendenze dell'Ulss 20 e si occupa del centro diurno di via Pacinotti. «L'unica cosa che accumuna i ragazzi che ho in cura è la fragilità». Prima c'era il tossico, quello duro e crudo che si faceva di eroina e arrivava alla disintossicazione per il rotto della cuffia, consumato da anni di abuso. Ora ci sono i giovani. Anzi i giovanissimi dai 15 ai 19 anni. Sui mille e cinquecento tossicodipendenti in cura nel 2007 al dipartimento delle Dipendenze dell'Ulss 20, centoquarantadue sono minorenni. E la tendenza dell'anno scorso è identica. Sette-otto anni fa non superavano la decina.
Per il dottor Maurizio Gomma, referente del dipartimento delle Dipendenze dell'Ulss 20, questo significa un crescendo lento nell'uso delle sostanze che creano dipendenza, ma allo stesso un aumento dei controlli dentro e fuori la famiglia. «I ragazzi arrivano da noi in conseguenza di eventi giudiziari o perché sono stati scoperti dalla famiglia. In minima parte perché si rendono conto di avere a che fare con un problema». Ed esclusivamente per casi di droga. «L'alcol- aggiunge Gomma- non è proibito, è più facile da trovare e socialmente è più tollerato, anche dalle famiglie». Come a dire, sulle sbronze si passa sopra. «Sulle droghe, invece, c'è più consapevolezza».
Il 10-12 per cento sono cocainomani, in minima parte eroinomani, il resto fa uso di erba. «C'è ancora la convinzione diffusa che la cannabis non sia una droga», sottolinea il direttore, «ma è una droga come tutte le altre: crea dipendenza e danni cerebrali irreparabili». Va detto che quella che circola oggi, non è la stessa di quarant'anni fa che aveva un principio attivo non superiore all'8 per cento. Oggi trovare una concentrazione che arriva al 20 per cento è la normalità. «Colpa delle piante geneticamente modificate».
Allo stesso tempo è cambiato l'impiego dell'eroina: non più in vena ma inalata, sul modello dei paesi arabi. «È una moda diffusa tra gli adolescenti- dice il dottor Gomma- sono convinti che così faccia meno male. Ma raggiunge un'efficacia dell'80 per cento (in vena è del 100 per cento)». Negli ultimi due anni sono cambiati i pazienti e di conseguenza devono cambiare le modalità di presa in cura. E la presa in carico di adolescenti che fanno uso di sostanze è stata al centro del seminario promosso dal dipartimento dell'Ulss 20 e molto seguito dagli operatori del settore che ieri mattina ha visto anche l'intervento dell'assessore regionale alle Politiche sociali, Stefano Valdegamberi.
«Essendo aumentato il numero dei minorenni», spiega la psicologa, «nei casi entra in gioco un altro soggetto fondamentale: la famiglia». Ma la famiglia in generale. I ragazzi del centro hanno alle spalle genitori diversissimi: chi li ha separati, chi professionisti, chi extracomunitari e chi una coppia affiatata. «Il problema è la comunicazione», aggiunge. «Sembra che qualcosa si sia interrotto: parlano due lingue diverse e non si capiscono». Al centro si curano i ragazzi come Chiara, ma spesso il lavoro più duro si fa in famiglia. «I genitori si impegnano», dice la dottoressa Taini, «ma non sanno cosa fare. Sono attoniti dinnanzi ai problemi dei figli, non sanno come prenderli». Intanto Chiara, dopo la scuola, ha il suo appuntamento fisso. Fino a sera ci sono gli assistenti sociali e gli operatori che le stanno vicino. A casa, poi, se la deve vedere da sola. Con mamma e papà.
Silvia Bernardi