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American Medical Association: studio sull'obesità

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Obesità: è utile chiamarla malattia?

È stata dichiarata ufficialmente patologia medica dall’American Medical Association, ma tale classificazione potrebbe causare anche effetti collaterali.

Dal 19 giugno negli Stati Uniti l’obesità non è più considerata solo una condizione poco salutare o un fattore di rischio, ma una vera e propria malattia , alla stregua dell’Alzheimer, del cancro e di tutte le altre patologie mediche. La decisione, arrivata dopo un lungo e acceso dibattito all’interno dell’American Medical Association, è volta ad arginare la principale piaga che affligge un terzo della popolazione, tra cui oltre dieci milioni di bambini. Elevando l’obesità allo status di malattia, infatti, i pazienti statunitensi (secondo quanto prevede il loro sistema sanitario) potranno beneficiare di maggiori e nuovi rimborsi assicurativi per le cure mediche, per i farmaci e trattamenti di cura.

Mentre le comunità mediche internazionali plaudono all’iniziativa , che permetterà di prevenire i problemi legati al sovrappeso (malattie cardiovascolari, diabete, ictus, apnee notturne, ipertensione e tumori), si levano alcune voci scettiche fuori dal coro, raccolte dai media d’oltreoceano. Innanzitutto non è semplice definire quando una persona è veramente obesa: l’indice di massa corporeo infatti può trarre in inganno, classificando persone robuste ma sane come obese, mentre altre più magre ma resistenti all’insulina come normali.

Inoltre, come riporta il Times, entra in gioco anche un fattore psicologico negativo per chi è in sovrappeso per cause genetiche o patologiche: se etichettati come “malati”, saranno molto più restii a farsi curare, proprio perché percepiscono la propria condizione come una patologia cronica e immutabile, “arrendendosi” alle abbuffate e alla sedentarietà. Lo sostiene uno studio eseguito su alcolisti, che dimostra come siano propensi alle ricadute proprio per queste motivazioni.

Viene inoltre sottolineato il problema della “ghettizzazione”, come accade appunto per l’alcolismo, catalogato come malattia nel 1956. Nella maggior parte dei casi non è necessario il drastico trattamento di prassi, come il ricovero in strutture di disintossicazione e l’astinenza totale: tuttavia le alternative per chi non presenta un comportamento patologico sono davvero poche, come evidenziato anche nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali stilato dell’ American Psychiatric Association, dove non esiste più, da quest’anno, la distinzione tra abuso e dipendenza.

Il pericolo paventato è che possa succede la stessa cosa per l’obesità, senza discernere tra chi ogni tanto sgarra con il junk food e chi invece è patologicamente in sovrappeso per l’alimentazione scorretta (in quantità e qualità) e stile di vita. Insomma, etichettando l’obesità come malattia si rischia di fare di ogni erba un fascio, sottoponendo ad interventi chirurgici e trattamenti farmacologici anche chi non ne ha un reale bisogno e disincentivando le persone che riescono ad autogestire il proprio peso con dieta ed esercizio fisico.

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)