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Autostima, prima cura per le famiglie degli alcolisti

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Autostima prima cura per le famiglie degli alcolisti
Il sostegno ai parenti facilita anche il recupero del malato
Gli Alcolisti Anonimi sono oltre due milioni
RIMINI - «Dieci anni, ora chiamiamo i dieci anni: chi ha dieci anni di sobrietà?». La prima a scattare in piedi è una donna sulla trentina,

capelli lunghi alla spalla, jeans e camicetta. Si issa sulla sedia, comincia a sbracciarsi puntando una piccola torcia elettrica verso il

soffitto. Ride di felicità, le braccia al cielo in una gioia incontenibile. Subito l'attorniano altre persone. Donne e uomini. L'abbracciano.

La baciano. Altre piccole luci cominciano a danzare nel buio dell'enorme sala della Piazza, al Palacongressi di Rimini. Tre, dieci, venti.

Nella «Conta», come la chiamano, il gruppo di quanti sono riusciti a staccarsi dalla bottiglia dai due lustri in giù è il più numeroso. La

«Conta» è il momento finale del raduno nazionale di Al-Anon, l'associazione che riunisce i familiari e gli amici di alcolisti, attiva in

Italia dal 1976. Al-Anon rappresenta l'altra faccia della medaglia di A.A. la ben più nota associazione degli Alcolisti Anonimi, nata negli

Stati Uniti nel 1935. Seduti a terra, vicino al palco, ci sono una cinquantina di bambini e ragazzi. Sono gli Alateen, i figli degli

alcolisti. Quando lo speaker chiama le 24 ore di sobrietà, dal soffitto vengono sganciati centinaia di palloncini colorati. E la sala si

trasforma subito in un campo di battaglia dominato dal crepitio dei palloncini, fatti scoppiare tra le mani.
«Nei raduni normali, in realtà, la gente se li lancia i palloncini - urla un marcantonio dai baffoni bianchi alla Hulk Hogan mimando nell'

aria un gesto da silfide -. Noi invece ci siamo e ci facciamo sentire!». Esaltato? Certo. Ma uno esaltato dalla vita. Un entusiasta, perché è

riuscito a conquistarsi una seconda chance. «Grazie al gruppo, solo grazie al gruppo». Lo dice lui. Lo ripetono tutti gli altri 1.269

arrivati a Rimini, che adesso bucano palloncini, si stringono le mani, si baciano, scambiano indirizzi e numeri di telefono, si fotografano

con i cellulari, piangono e ridono indossando una maglietta che recita la frase «è bello essere me stesso». Insomma, li guardi e ti chiedi:

possibile che funzioni davvero? Possibile che l'intuizione di un medico di Akron, nell'Ohio, e di un agente di borsa di Wall Street, entrambi

alcolisti, abbia aiutato tante persone a smettere di bere? Non solo. A diventare loro stesse «terapeuti»? Possibile che oggi Alcolisti

Anonimi conti oltre due milioni di iscritti suddivisi tra più di 115 mila gruppi in 160 Paesi (470 in Italia) e Al-Anon abbia 24 mila gruppi

in 130 Paesi (415 in Italia), completamente autofinanziati?
Proviamo allora a riassumere l'intuizione originaria: nessuno può aiutare un alcolista meglio di un altro alcolista che ha smesso. Auto-

aiuto, dunque, e su un piano di assoluta parità, tanto che al di fuori del gruppo l'anonimato è uno dei principi cardine. Altro postulato

fondamentale è il ribaltamento di prospettiva sul bere: l'alcol non è un vizio, ma una vera e propria malattia fisica e spirituale. «Il

metodo di recupero di Alcolisti Anonimi si basa su un programma di principi spirituali che permettono all'alcolista di cambiare stile di

vita», ci spiega Elisabetta, coordinatore dei fiduciari Al-Anon. La spiritualità è l'affidarsi a qualcosa di superiore. Comunque lo si voglia

identificare. I principi sono compendiati in 12 «passi» che dovrebbero favorire il cambiamento e che si applicano anche ai familiari. Perché

l'alcol diventa la malattia dell'intera famiglia. Certo, ammettono, il programma può non essere adatto a tutti. L'importante è fare il primo

passo, bussando alla porta di Al-Anon. I familiari così hanno salvato se stessi e anche chi amavano. Sandro ha 65 anni e ne ha trascorsi 28

in Al-Anon. Alcolista era la moglie. «Ho capito che il lavoro sarebbe stato duro, perché dovevo tirare fuori tutto ciò che non funzionava in

me. La situazione è cambiata quando io ho cambiato atteggiamento, dopo aver frequentato il gruppo. Le ho detto: basta, comunque devo fare la mia vita anche se quando hai bisogno io ci sono. E dopo quattro anni ha deciso di alzare il telefono e mi ha chiesto di accompagnarla dagli Alcolisti Anonimi. L'alcolista diventa responsabile, perché qualcuno gli fa veder cosa potrebbe diventare. Se vogliamo è un ricatto morale, ma funziona». Lei è morta qualche anno fa, ma insieme hanno condiviso 13 anni di sobrietà e adesso Sandro continua a testimoniare e ad aiutare gli altri.
Anche Stefania, 24 anni, e Maria di 49, figlia e moglie di un alcolista hanno vinto una scommessa dove la posta in gioco era la loro vita.

«All'inizio, nel gruppo mi è stato suggerito di smettere di controllare quanto beveva, non stargli attaccata e quando stavo male, uscire e

andare a una riunione - dice Maria -. I primi quattro anni li ho passati in riunione o a casa di qualche amico. Lasciare solo mio marito però

mi creava enormi sensi di colpa. Ma questo ha prodotto il risultato che lui ha cominciato a pensare a se stesso. Ha toccato pesantemente il

fondo ed è risalito». Cosa colpisce del gruppo? «Abbracci e baci che si danno all'inizio e alla fine degli incontri - dice Stefania, in

Alateen a 14 anni -, il calore di perfetti sconosciuti, la semplicità. Mi sono sentita subito unita a loro e non giudicata». Nel caso di

Anna, invece, è stato il fratello alcolista, che abitava negli Stati Uniti dove frequentava gli A.A., a farle conoscere Al-Anon. «Non ho mai

voluto vedere la malattia di mio fratello. Ma è stato lui poi a farmi rendere conto che anche i due compagni che ho avuto erano alcolisti.

Nel gruppo ti trovi subito bene, ma è solo l'inizio perché poi occorre cominciare ad andare in profondità di se stessi. E non è per niente

facile».
Ruggiero Corcella


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)