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Bevande alcoliche: boom a sorpresa dell'export di birra italiana, 2 milioni di ettolitri

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Bevande alcoliche: boom a sorpresa dell'export di birra italiana: 2 milioni di ettolitri
Sale l'export e aumenta la produzione con nuovi stabilimenti della birra made in Italy


Milano. Boom delle esportazioni della birra italiana: quasi irrilevanti qualche anno fa, sono salite a sorpresa a 2 milioni di ettolitri nel 2011. Lo rivela il Mondo in un articolo nel numero in edicola da domani. Nello stesso tempo è aumentata la produzione nazionale (a 12,8 milioni di ettolitri) con le importazioni ferme a circa 6 milioni di ettolitri. Si fanno così incorraggianti i conti di un settore che ha nettamente invertito la tendenza rispetto al passato, con 16 impianti industriali in funzione (l'ultimo è stato rinnovato lo scorso anno alla Forst in Alto Adige) che presto diventeranno 17 con la costruzione di una fabbrica a Padova da parte del gruppo Interbrau dei fratelli Vecchiato.


Per non parlare dei birrifici artigianali, un vero fenomeno arrivato a oltre 400 impianti con una punta di eccellenza e di dimensioni adatte per l'iscrizione ad Assobirra, l'associazione del settore da un anno guidata da Alberto Frausin(nella foto), una carriera nel largo consumo, dalla Kraft alla Johnson Wax, dalla Ferrero alla Manetti&Roberts, alla Galbani e ora impegnato a rilanciare in Italia il gruppo danese Carlsberg, che può contare su uno stabilimento importante, 1,5 milioni di ettolitri di capacità massima all'anno, a Induno Olona, in provincia di Varese.


È quello con l'insegna della Poretti, uno dei marchi storici del made in Italy accanto a Forst (che fa capo alla famiglia dell'amministratore delegato Margherita Fuchs von Mannstein e controlla anche la Menabrea di Biella), Pedavena (nel Bellunese, ora nelle mani della friulana Castello), la Birra Moretti (rilanciata con forti investimenti e risultati dal gruppo Heineken), la sarda Ichnusa (prodotta sul posto senza far pesare il nome del gruppo controllante, la stessa Heineken, leader assoluto in Italia), la romana Peroni (anche con il brand Nastro Azzurro, ora del colosso americano SabMiller), le triestine Dreher (ancora Heineken) e Theresianer (controllata dal gruppo del caffè Zanetti e Hausbrandt). Frausin si sta impegnando su più fronti per cavalcare il trend positivo, anche se i consumi interni sono in questi mesi in leggero calo (+1,1% le vendite 2011, -1,1% l'andamento dei primi quattro mesi del 2012) ma in misura inferiore al quello del vino.


La spinta a connotare la birra come alimento e ingrediente in cucina è emersa con la prima partecipazione a Cibus, la fiera dell'alimentazione di Parma. «La cultura della birra, sorpattutto tra i giovani, è un fenomeno sempre più diffuso», sottolinea Frausin, che vede con ottimismo la diffusione delle birre speciali ed è ben contento di stringere l'alleanza tra industriali e birrifici artigianali per una crescita del mercato nel suo complesso. Con una priorità nella comunicazione e nelle campagne verso i consumatori: «Bevi Responsabile» e «O bevi O guidi» sono i leit motiv delle iniziative di Assobirra e di tutti i brand più importanti (sono sei i grandi produttori).


In Italia la pubblicità degli alcolici è sottoposta a vincoli ma non così restrittivi come in altri Paesi (Francia, Svezia, Finlandia e Norvegia). Il settore d'altra parte si è da tempo autoregolamentato e recentemente AssoBirra ha varato un nuovo codice volontario di autodisciplina della comunicazione commerciale della birra, che va oltre gli attuali riferimenti normativi per gli alcolici. Il codice prevede la creazione di un Giurì ad hoc con l'obiettivo di assicurare che la comunicazione del prodotto sia conforme al principio del bere responsabile.


Nel frattempo l'Associazione deve affrontare la tentazione del Parlamento di introdurre nuove accise(*) (oggi di circa 9%) che appesantirebbero il settore, già alle prese come altri con la pressione anti-evasione sui locali pubblici, la norma che accorcia i tempi di pagamento delle fatture, il possibile aumento dell'iva al 23% e altro ancora, come nuove norme sugli imballaggi. Anche se Frausin è convinto che nessuno ha interesse a rovinare questa fetta di industria italiana, che dà lavoro a circa 140 mila persone, fra diretti (4.000) e indotto. Ettore Tamos


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)