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Binge Eating Disorder: considerazioni

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L'abbuffata. Le problematiche del disturbo alimentare

Il BED (Binge Eating Disorder) è l'abbreviazione inglese di un nuovo disturbo alimentare (cibo e alcol). Con tale termine si intende l'

ingestione rapida di un'enorme quantità di alimenti in un arco di tempo relativamente breve: il cibo viene ingerito talmente in fretta che

non è possibile gustare e apprezzare le sue caratteristiche organolettiche.
Il soggetto divora ogni cosa con preferenza per dolciumi soffici, merendine, gelati, biscotti, cibi calorici. E' un modo di mangiare vorace e

incontrollato, fino a stare male (attacchi che durano mediamente circa 2 ore); le sostanze vengono usate sempre, in maniera più o meno

consapevole, come anti - ansia, per anestetizzare disagi e vissuti emotivi dolorosi.
Il soggetto inghiottisce tutto fino a scoppiare, con velocità impressionante, non ha fame, il tutto si realizza in perfetta solitudine perché

è dominato dal sentimento di vergogna e a conclusione dell'episodio alimentare, prova un senso di disgusto verso se stesso e si sente in

colpa (comportamento che lascia sempre un profondo stato depressivo).
Tale fenomeno, spesso osservabile nelle persone affette da fame compulsiva, può causare una profonda sofferenza o una marcata compromissione funzionale.
In questo caso il cibo ha una funzione ben precisa: rilassa e consola, fa scorrere il tempo, scaccia la solitudine e la noia. La

contraddizione particolarmente evidente alla base di questo disturbo consiste da un lato nell'impossibilità quasi assoluta di trattenersi

nell'alimentazione, dall'altro nel desiderio di controllare in maniera ossessiva il proprio peso e i relativi criteri estetici.
Le persone che soffrono della "sindrome dell'abbuffata" solitamente mangiano una quantità di cibo decisamente superiore al normale, sono

caratterizzate dalla sensazione di aver perso il controllo sul proprio consumo di cibo e, secondo il DSM - IV per poter diagnosticare tale

disturbo, hanno almeno due episodi di abbuffate alla settimana per un periodo di sei mesi.
Alcune ricerche cliniche hanno evidenziato che coloro che soffrono di questa sindrome possono trascorrere molto tempo mangiando o ingerendo, oltre alle loro necessità fisiologiche, cinquemila calorie in più a ogni episodio. Al termine di tali rituali alimentari questi soggetti, a differenza dei bulimici, non si inducono il vomito, non fanno uso dei lassativi e non ricorrono per niente ad attività ginnica per tenere sotto controllo il proprio peso: semplicemente "lievitano" in piena sofferenza e alternano periodi di dimagrimento e di ingrassamento (gonfiore per un'alimentazione disordinata). Con l'aumentare del peso però questi individui diventano depressi e ansiosi o sviluppano altri tratti psicologici in misura decisamente superiore rispetto ad altri soggetti di peso simile al loro.
A stimolare questi episodi possono essere diversi fattori: tratti depressivi, disistima, mancanza di supporto sociale, incapacità di gestire

l'ansia. L'eccessiva introduzione di cibo (iperfagia) può essere il segnale di un comportamento aggressivo che, non potendosi indirizzare

altrove, si scarica sul cibo (mangiare troppo aiuta a: scaricare ostilità e rabbia; raggiungere una apparente condizione di auto -

affermazione e di sicurezza).
Aggredire il cibo, infatti, farlo proprio, significa illudersi di essere in grado di gestire le varie situazioni esistenziali, di essere più

forti e sicuri. L'alimento, in questo caso specifico, sarebbe un surrogato di una forza, di una qualità e di una sicurezza che si teme di non

possedere, oppure di non avere alcun potere nei riguardi del proprio ambiente circostante da cui si teme invece di dipendere, di essere

annullati o poco considerati.
E' il tentativo, in breve, più o meno consapevole, di attenuare il vuoto interiore (solitudine, noia, insicurezza, disistima) e proteggersi

contro le aggressioni del mondo. Cosa fare. Il principio più importante per il trattamento di questo disagio è, sicuramente, la

personalizzazione del processo terapeutico.
Lo stile di vita in senso generale, l'attività fisica e l'alimentazione corretta sono aspetti fondamentali da considerare (sempre) ogni volta

che si deve formulare un piano terapeutico individuale e specifico per problemi alimentari. Si deve lavorare su un riequilibrio psicoemotivo

e, soprattutto, sulla giusta considerazione di se stessi, che deve sempre attivare sentimenti di rispetto del proprio corpo, e non limitarsi

a considerazioni puramente estetiche che impongono, a volte, trattamenti estemporanei, cruenti e poco salutari