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Bisturi e cocaina: oltre 40mila i medici che fanno uso di sostanze

Bisturi e cocaina: oltre 40mila i medici che fanno uso di sostanze

BISTURI E COCAINA: OLTRE 40MILA I MEDICI CHE FANNO USO DI SOSTANZE
Dalla sala operatoria al pronto soccorso. Il dieci per cento dei medici ha problemi di droga e alcol. La fatica e i turni più lunghi aggravano il problema. A Torino è nato un centro per far fronte alla situazione


C’è il chirurgo che vive in sala operatoria dalle sei del mattino alle otto di sera e che per rimanere sveglio e concentrato finisce per ricorrere alla cocaina. Fino a diventarne dipendente. C'è l’anestesista, che per ridurre l'adrenalina una volta tornata a casa ha trovato la soluzione nell’alcol. E anche il medico di pronto soccorso, che ha cominciato a “doparsi” con un farmaco stimolante per stare al passo con i ritmi della corsia.


Droghe e alcol negli ospedali italiani sono molto più diffusi di quanto si pensi. E con i turni massacranti ai quali sono sottoposti i medici dopo il blocco delle assunzioni e i tagli alla sanità, «il fenomeno è cresciuto», assicura don Paolo Fini, che da anni combatte le tossicodipendenze, e che ora insieme all’ordine dei medici di Torino ha ideato Helper, il primo centro italiano di disintossicazione rivolto alle professioni sanitarie. «Spesso si nega il problema per paura di offendere la categoria professionale», dice, «ma il problema esiste e va curato».


Difficile dire quanti siano in Italia i medici dipendenti da droghe e alcolici. I controlli ai quali viene sottoposto annualmente il personale sanitario riguardano le condizioni di salute, non la presenza di droghe nell’organismo. L’unico studio esistente è quello di Dianova, del 2012, che ha parlato di 43mila professionisti colpiti su 370mila (il 10%). Solo a Torino i promotori del progetto Helper ne hanno contati fra i 1.000 e i 1.500.


Secondo gli studi del Talbott Recovery Campus di Atlanta, che da trent’anni negli Usa si occupa delle dipendenze dei medici, tra l’8 al 12% del personale sanitario presenta una patologia da abuso di alcol o correlata all’uso di sostanze stupefacenti. In Europa, l’unico centro di questo tipo esiste in Spagna (si chiama Paime, Programa de Atencion Integral al Mèdico Enfermo), creato nel 1998 dall’ordine dei medici di Barcellona, secondo il quale il 12% dei camici bianchi catalani soffre di dipendenze. Un servizio simile è stato ideato anche dalla Federazione dei medici svizzeri, che ha dedicato una linea telefonica alle richieste di aiuto dei colleghi.


Il centro Helper di Torino sarà il primo in Italia nel suo genere. L’ospedale Molinette ha già dato una struttura in comodato d’uso. E ora servono solo le risorse per assumere il personale e partire. «Curare un medico è molto difficile», spiega Tiziana Borsatti, responsabile del progetto per conto dell’ordine dei medici. «Andare da un collega e dire che si fa uso di cocaina non è semplice. Per questo servono strutture idonee che garantiscano la privacy».


I più colpiti dalle dipendenze sono chirurghi, anestesisti, medici di pronto soccorso, psichiatri e ginecologi. Servizi “di frontiera”, alle prese con le emergenze, che comportano forte stress emotivo e scariche adrenaliniche. E che richiedono anche una turnazione continua: non possono esistere “buchi”. «È chiaro quindi che se l’organico è ridotto all’osso e i turni aumentano, anche lo stress aumenta», dice Borsatti. Così per stare col bisturi in mano anche per dieci-dodici ore al giorno, qualcuno ricorre al “doping” di sostanze di qualsiasi tipo. Lo sballo non c’entra. «È un modo non funzionale di rispondere allo stress», spiega don Paolo Fini.


In Germania, il medico Kalus Lieb in uno studio condotto a Magonza ha scoperto che un chirurgo su cinque assumeva sostanze psicoattive legali o illegali, mentre il 15% consumava antidepressivi. Ma in testa alla classifica dei soggetti a rischio «ci sono anche gli infermieri», ricorda don Fini, «che sono ancora di più a contatto con i pazienti di quanto lo siano i medici».


A far crescere il rischio di sviluppare dipendenze è il carico eccessivo di stress, che porta alla cosiddetta sindrome da burnout, la condizione di “esaurimento emotivo” che colpisce in genere coloro che lavorano a contatto con le persone. Medici compresi. Lo confermano i terapisti che si occupano di burnout: «Tanti medici arrivano da noi in situazioni di forte stress, lamentando anche lo scarso valore attribuito al loro lavoro». Tra i medici italiani la frequenza dei suicidi è doppia rispetto al resto della popolazione, arrivando addirittura a essere quattro volte superiore tra le donne (se confrontata con il resto della popolazione femminile).


Le sostanze stupefacenti più usate dai camici bianchi sono cocaina e stimolanti di vario tipo. «Questo vale soprattutto per i chirurghi», spiega Fabrizio Starace, direttore del dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche dell’Asl di Modena. «L’attività di sala operatoria, dal mattino alla sera, richiede uno sforzo fisico, non solo psichico. Se a questo aggiungiamo che dove prima eravamo in cento oggi siamo novanta, il rischio di sviluppare dipendenze aumenta». L’alcol, al contrario, «viene usato per sedare una condizione di iperattività una volta tornati a casa». Ma i medici non sono immuni neanche alla dipendenza dal gioco d’azzardo. Perché il gioco permette di focalizzarsi su altro e staccare dallo stress della corsia.


(...omissis...)


di Lidia Baratta


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.linkiesta.it/it/article/2016/02/04/bisturi-e-cocaina-oltre-40mila-i-medici-che-fanno-uso-di-sostanze/29129/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)