Bottiglie piccole e da asporto, per un bere più responsabile
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Bottiglie piccole e da asporto. Come bere responsabilmente
di GUSTAV ROTWEIN
È tempo di crisi, non v'è dubbio, e anche i ristoranti soffrono. Ma, ascoltando le lamentele di una buona maggioranza dei miei amici
ristoratori, si deduce che in realtà non è la crisi economica globale a non far quadrare i loro conti, bensì il giro di vite che il governo
ha voluto dare nella lotta alla guida in stato di ebrezza. Vorrei chiarire subito la mia posizione in merito: la legge c'è ed è sacrosanta e
in quanto tale va rispettata. Dura lex, sed lex: le misure disciplinari che vengono adottate sono pesanti, ma funzionano. Lo dicono i
ristoratori stessi: la gente ordina meno alcolici (birra, vino, passiti e distillati) per paura di vedersi ritirare la patente. Lo ritengo un
segnale positivo, doveroso in un Paese che può fregiarsi di far parte del G8. C'è già chi ha proposto deroghe particolari o addirittura
patenti speciali per chi usa la vettura per (importanti) motivi di lavoro e spero che scherzassero. O bevi o guidi, punto. E allora bisogna
che i nostri amici osti e trattori si rimbocchino le maniche per risollevare il loro lavoro. Alcune idee ci sono e peraltro all'estero
funzionano benissimo. Spesso chi mangia da solo o in due non ordina una bottiglia di vino, perché è troppa e allora ripiega su uno o due
bicchieri di vino sfuso. C'è però anche chi rinuncia, perché non si fida o non gradisce il vino sfuso. In Francia la maggioranza dei
produttori propone anche le «mezze bottiglie» da 375 millilitri. Oltre che essere utile al ristoratore, perché dà la possibilità ai suoi
clienti di ordinare il proprio vino preferito in quantità ragionevole, permette al produttore di veicolare il proprio nome sulla tavola dei
commensali. Con il vino sfuso, invece, spesso non si sa cosa si beve. In Italia la mezza bottiglia è poco diffusa, ma qualcuna si trova,
basta cercarla o chiederla ai produttori, ai quali desidero suggerire di valutarne la valenza. Ma c'è rimedio anche per quei vini che sono
disponibili solo nella bottiglia da 750 millilitri. Basterebbe offrire il vino anche al calice (permettere cioè al cliente di scegliere la
bottiglia e il vino che desidera e berne solo un bicchiere) o attrezzarsi con quei tappini speciali con relativa pompetta che evacua l'aria
dalla bottiglia incominciata e dare la possibilità all'ospite di portarsela a casa. Il tappo costa poco e si può regalare o far pagare.
Comunicando a priori questa possibilità sicuramente qualche cliente esitante non avrà più paura di ordinare una bottiglia anche se dovesse
essere da solo. Agli amici ristoratori, che si lamentano per la severità della nostra legge, vorrei dire che ad esempio negli Stati Uniti, la
variante di portarsi a casa il vino è poco diffusa, perché la legge non permette di camminare per strada con una bottiglia di vino in vista,
chiusa o aperta, e vieta di trasportare in macchina una bottiglia aperta (legge sull' «open container» ). E che dire della Germania, dove si
fa distinzione tra guida in stato di ebrezza venendo da casa oppure rientrando a casa: se ti metti al volante alterato a casa potevi anche
non aver previsto di usare la macchina, ma se stai rientrando a casa sapevi che avresti dovuto usarla e questa è un'aggravante. In compenso, negli Stati Uniti e in Germania è molto diffusa una terza soluzione: il «designated driver» , l'autista designato. È forse la più semplice delle tre e testimonia maturità e senso di responsabilità. In Italia ci stiamo lentamente arrivando ed è un ulteriore buon segno. Ricordate: o bevi o guidi.
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)