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British Medical Journal: antidepressivi in adolescenza, forse correlati ad un aumento del rischio di suicidio

British Medical Journal: antidepressivi in adolescenza, forse correlati ad un aumento del rischio di suicidio

GLI ANTIDEPRESSIVI PORTANO I  RAGAZZI AL SUICIDIO. O FORSE NO?
Uno studio sul Bmj mostra che il loro uso nei minori raddoppia il rischio di suicidio. C’è chi lo contesta, chi ricorda che da dieci anni il loro impiego in questa popolazione è strettamente sorvegliato. E chi avverte che senza i dati originali degli studi clinici è difficile trarre conclusioni


«Gli antidepressivi raddoppiano il rischio di aggressività e suicidio nei bambini». Il 26 gennaio scorso, il British Medical Journal avverte con queste parole i giornalisti dell’imminente pubblicazione sulle sue pagine di una metanalisi che, ancora una volta, indaga i possibili effetti di questa classe di farmaci nei minori.


Uno strillo dai toni inusuali per quella che è una delle riviste mediche più prestigiose del mondo e che lascia intendere che tra le pieghe di quella ricerca si possano nascondere risultati epocali che potrebbero cambiare la pratica clinica.


A condurla, ricercatori danesi afferenti al Nordic Cochrane Centre, uno dei centri della Cochrane Collaboration che deve molta parte della sua fama al dibattito che da anni aleggia intorno al rapporto tra rischi e benefici della mammografia. Molti degli studi che hanno messo in evidenza gli effetti collaterali (la sovradiagnosi in particolare) dello screening mammografico provengono da lì.


Il gruppo è guidato da un medico che ha fatto della revisione degli studi clinici la sua bandiera professionale, Peter C. Gøtzsche. Un nome che a molti fa venire l’orticaria per la rigidità nordica con cui applica il suo metodo. E che altri additano invece a paladino della correttezza del metodo scientifico applicato alle pratiche mediche.
In dettaglio Gøtzsche e i suoi questa volta si sono concentrati su un tema su cui si discute da almeno due decenni: i possibili effetti collaterali degli antidepressivi sui minori.


Il metodo è quello che ha fatto della Cochrane Collaboration un’autorità riconosciuta: la revisione sistematica accompagnata dalla metanalisi dei dati, vale a dire un’analisi congiunta di tutti gli studi pertinenti su un dato argomento.


I ricercatori del Nordic Cochrane Centre si sono così trovati a maneggiare quasi 200 sperimentazioni cliniche condotte negli ultimi 20 anni. 125 sono finite subito nel cestino perché non erano trial clinici in doppio cieco controllati con placebo; 28 sono stati scartati perché erano stati condotti su persone sane. Di cernita in cernita sono rimaste 70 sperimentazioni per un totale di 64.381 pagine di documenti, ci tengono a precisare i ricercatori. In totale oltre 10 mila pazienti in trattamento, il 12 per cento dei quali minori.


Cinque i farmaci che erano oggetto delle sperimentazioni: duloxetina, fluoxetina, paroxetina, sertralina e venlafaxina. Tutti farmaci che appartengono alle classi degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRIs) e degli inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina (SNRIs).


Il team ha quindi analizzato la mortalità, l’attitudine al suicidio (scorporata per suicidio, tentato suicidio, idea/desiderio di suicidio), l’aggressività e l’acatisia (una sindrome che si manifesta con l’impossibilità di stare fermi, irrequietezza, ansia, agitazione) confrontandone la frequenza nei pazienti in trattamento e nel gruppo di controllo che assumeva un placebo.

Risultato: nessun nuovo rischio per gli adulti. Ma se si concentra lo sguardo sui minori le cose cambiano: hanno una probabilità di tentare il suicidio dell’85 per cento più alta rispetto a quelli del gruppo di controllo; oltre due volte più alta di mostrare comportamenti aggressivi e acatisia. Quanto basta per far concludere ai ricercatori: «Suggeriamo il minimo uso degli antidepressivi nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti».


Niente di nuovo (e anche sbagliato)

Le critiche allo studio non si sono fatte attendere e sono arrivate direttamente come commenti al BMJ. Quattro psichiatri (Bernadka Dubicka, Alys Cole-King, Shirley Reynolds, Paul Ramchandani) afferenti a diverse istituzioni inglesi si sono detti «preoccupati per il processo editoriale che ha portato alla pubblicazione dell’articolo», un articolo «completamente errato nella presentazione e nella logica».


Oltre a diverse contestazioni di metodo, i quattro psichiatri fanno notare che soltanto due dei cinque farmaci indagati (fluoxetina and sertralina) sono raccomandati dal National Institute for Health and Care Excellence per il trattamento dei minori, mentre altri due (paroxetina and venlafaxina) sono esplicitamente controindicati. Un modo per dire che si stava sollevando un polverone sul nulla.


Anche un dipendente della Food and Drug Administration statunitense non le manda a dire al team di Gøtzsche: «Gli autori di questo studio essenzialmente hanno duplicato, con dati più limitati, alcune delle analisi presentate nel nostro studio sul BMJ nel 2009».


L’argomento infatti non è nuovo. Già nel 2004 la Food and Drug Administration rese obbligatoria l’applicazione sulle confezioni di antidepressivi di un alert che indicasse il rischio di attitudine al suicidio, soprattutto nei minori e nei giovani adulti.


(...omissis...)


Antonino Michienzi


copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.healthdesk.it/medicina/antidepressivi-portano-ragazzi-1455037407


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)