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Chemical Senses Center di Philadelphia: dolci e bibite potrebbero portare i ragazzi all'alcolismo

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Dopo il dolce, il sapore amaro dell'alcol nel futuro dei bambini?

La Stampa.it 11 febbraio 2010

"Una caramella addolcisce la vita" e "una bibita fa festa"... in molti casi può essere vero, ma a volte il consumo di alimenti dolci può nascondere una depressione e potenzialmente indirizzare un giovane verso l'alcolismo.
È quanto sostiene un nuovo studio del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia (Usa) secondo cui i ragazzi attratti dagli alimenti particolarmente dolci potrebbero avere maggiori probabilità di essere vittime dell'alcolismo e della depressione in quanto hanno già una storia famigliare di questo genere.

Lo zucchero, secondo i ricercatori, offre le stesse gratificazioni a livello cerebrale dell'alcol. E poiché lo zucchero può essere un richiamo d'animo, i bambini depressi possono essere attirati da questo per cercare di sentirsi meglio.
«Sappiamo che il sapore dolce è gratificante per tutti i bambini e li fa sentire bene. Inoltre, alcuni gruppi di bambini possono essere particolarmente attratti da una intensa dolcezza a causa della loro biologia di base», ha dichiarato la dr.ssa Julie Mennella, psicobiologa.
Tuttavia, avvertono i ricercatori, questo non significa che un bambino che ama gli alimenti molto zuccherati diventerà per forza un alcolizzato. Ma, i risultati dello studio mostrano che c'è un legame tra la preferenza di alimenti molto dolci e casi di alcolismo in famiglia. «A questo punto, non sappiamo se questo maggior 'punto di beatitudine' per i dolci sia un marker per l'uso di alcol in futuro», ha aggiunto la dr.ssa Mennella.

Durante lo studio che ha coinvolto 300 bambini di età compresa tra i 5 e i 12 anni, è emerso chiaramente che i bambini che avevano una storia di alcolismo in famiglia prediligevano gli alimenti molto zuccherati. E circa il 25% di questi ha mostrato sintomi depressivi.
«Può essere che i livelli ancora più elevati di dolcezza siano necessari per far sentire meglio i bambini depressi», ha concluso Mennella.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Addiction".