Chi mi ascolta mi consente di ascoltarmi...
Mi sono reso conto che la comunità è soprattutto un privilegio, perchè mi fornisce lo spazio per ascoltarmi e raccontarmi... Chi mi ascolta mi consente di ascoltarmi e di diventare capace di ascoltare anche mio figlio, prima che lui...
Mi chiamo Paolo, ho cinquant'anni.
Più passa il tempo e più mi accorgo che per riuscire a parlare è importante riuscire ad ascoltare se stessi. Io posso riuscire a dire delle cose che arrivano alle persone, delle cose che possono essere condivise soltanto se io sono disposto ad ascoltare quello che sto sentendo in quel momento, ciò che dico, ma questo non è sempre facile.
Soprattuto nella vita di tutti i giorni, non è facile perchè richiede di essere molto onesti, a volte quasi anche crudeli con se stessi.
Non è semplice nella quotidianità, con i problemi che si hanno può diventare difficilissimo, quasi impossibile.
Al di là del fatto che credo che l'esperienza di comunità possa essere un'esperienza molto pesante, qualcosa che in certi momenti grava come un peso, nei momenti di maggior lucidità io in realtà mi sono reso conto che la comunità, l'opportunità di fare un percorso di questo tipo, è soprattutto un privilegio, perchè mi fornisce lo spazio per raccontarmi.
Io sono arrivato qui credendo di conoscermi abbastanza, in realtà poi ho iniziato a raccontare me stesso, provando mille emozioni, insoddisfazioni, rabbia, senso di impotenza, perchè comunque non riuscivo neppure a dire a me stesso le cose che avrei dovuto dire agli altri.
Quindi qui è stato molto importante il tempo, perchè le cose non basta dirle una volta affinchè si risolvano; io le dico, ne parlo con la persona che ho davanti, con il gruppo, ne parlo oggi, ne parlo domani, ne parlo dopodomani per come starò dopodomani e per come sono stato ieri, però poi serve il tempo per far decantare.
É il tempo che poi mi permette di far sì che le cose che io ho raccontato siano cose che dico a me stesso, cioè se l'altro mi ha ascoltato mi ha anche permesso di ascoltarmi.
Non voglio dire che mi sento "risolto" perchè si è sempre in una specie di cantiere aperto, con lavori perennemente in corso, perchè ascoltarsi porta a farsi poi tante domande.
Non voglio dilungarmi troppo, dico magari una cosa pratica, io ho due figli, di cui uno adolescente, nel pieno della ribellione adolescenziale, e io sono lontano, non son vicino a lui e sua madre non riesce anche a fare il mio ruolo.
Mio figlio lancia messaggi che lanciano tutti gli adolescenti, e se ripenso a quella che è stata la mia adolescenza, mi accorgo che le cose che fa non possono essere viste soltanto come una deviazione, un vizio, uno svago, qualcosa di superficiale, ma come delle richieste di essere visti, ascoltati, è così per lui come lo è stato per me. Quindi mi si pone una sfida veramente grossa, quella di riuscire ad ascoltare me stesso e cercare di credere di essere capace di riuscire ad ascoltare anche mio figlio, prima ancora che lui ascolti me. Ascoltare ciò che ha da dire, e spero di farcela...
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