Contrasto all'abuso di alcol: le frontiere dell'editing epigenetico
CRISPR resetta i danni dell’alcol
Ubriacarsi, soprattutto durante l’adolescenza, può modificare la funzionalità di alcuni geni chiave e comportare conseguenze durature. Un esperimento sui ratti suggerisce che l’editing possa essere usato per azzerare questi cambiamenti che sono detti epigenetici e riguardano l’architettura del DNA anziché la sua sequenza.
Nella cassetta degli attrezzi CRISPR ce ne sono alcuni che funzionano come interruttori invece che come forbici. Accendono e spengono i geni, apportando piccole modifiche chimiche alle lettere del DNA o alle proteine che servono a impacchettarlo in una forma più o meno accessibile alla lettura. L’insieme di questi segnali si chiama epigenoma, proprio perché le informazioni stanno sopra (o se preferite intorno) al genoma vero e proprio. La tecnologia per modificarli è detta editing epigenetico e utilizza varianti di CRISPR appositamente accessoriate: programmabili come la tecnica standard ma equipaggiate con enzimi effettori capaci di far scattare le modalità on e off dell’espressione genica.
L’editing epigenetico non è ancora stato messo alla prova sugli esseri umani, ma è al centro di un numero crescente di studi preclinici, svolti su colture cellulari e modelli animali. I suoi fautori lo considerano un approccio più soft dell’editing genetico, perché non modifica le informazioni genetiche in modo irreversibile e potrebbe comportare minori rischi di effetti indesiderati, in quanto non prevede tagli e ricuciture di sequenze. L’interesse è alto anche perché esiste una componente epigenetica in molti processi fisiologici e patologici: nell’invecchiamento, in molte malattie gravi e croniche, e persino nell’alcolismo.
L’ultima novità in questo filone di ricerca è un lavoro pubblicato su Science Advances in cui sono stati utilizzati dei ratti abituati a consumare alcol per studiare la reversibilità dei cambiamenti epigenetici causati dall’alcolismo. Il potenziale bersaglio terapeutico identificato da Subhash Pandey e colleghi è un elemento di regolazione genica (enhancer) che amplifica la produzione di una proteina detta Arc, che è a sua volta implicata nella comunicazione tra i neuroni e in particolare nella plasticità delle sinapsi.
Un’esposizione massiccia e precoce all’alcol ha degli effetti su questa regione del genoma che portano a una minore espressione di Arc in una parte del cervello importante per processare le emozioni (amigdala). Se i ratti vengono esposti ripetutamente all’alcol a un’età che corrisponde all’adolescenza umana (tra i 27 e i 41 giorni di vita), una volta diventati adulti tenderanno a scegliere l’alcol al posto dell’acqua, quando gliene viene offerta la possibilità. Inoltre se vengono collocati in un labirinto con due livelli di illuminazione preferiscono la parte buia, una scelta che è considerata un indicatore di ansia.
Dopo aver indotto la dipendenza, i ricercatori dell’Università dell’Illinois a Chicago hanno tenuto gli animali in astinenza, quindi hanno provato a curarli con l’editing epigenetico. La terapia a base di CRISPR, somministrata nell’amigdala dei ratti con l’aiuto di vettori virali, ha sortito l’effetto sperato: il livello di espressione del gene chiave è tornato ai livelli precedenti all’esposizione all’alcol e il comportamento è cambiato di conseguenza, in direzione di una minore ansia e un minore consumo di alcol. La controprova è arrivata quando i ricercatori hanno usato l’editing per ottenere l’effetto opposto, inducendo cambiamenti epigenetici dannosi a carico di Arc in esemplari che non erano dipendenti ma hanno iniziato a comportarsi come se fossero tali.
Nel mondo oltre 15 milioni di persone hanno problemi gravi e cronici a causa dell’alcol, e la cassetta dei farmaci per l’alcolismo è piuttosto sguarnita, perciò gli specialisti che si occupano di questa dipendenza guardano con entusiasmo alle nuove conoscenze sull’epigenoma. Una di loro è Elizabeth Heller, neuroscienziata dell’Università della Pennsylvania, che ha commentato l’ultimo studio su The Scientist. La sua avvertenza è che dovranno essere chiariti molti aspetti prima di poter anche solo pensare a sperimentare una terapia epigenetica su soggetti umani.
Occorre indagare in profondità i meccanismi attraverso i quali l’epigenetica influenza i comportamenti legati alla dipendenza, devono essere studiati i possibili effetti collaterali e servono avanzamenti anche nelle modalità di somministrazione. Ma la prova di principio sui ratti sembra aver funzionato, e quello epigenetico si conferma uno dei filoni più caldi dell’editing di prossima generazione.