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Corte di Appello di Trieste: guida in stato d'ebbrezza e ritiro della patente

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Non regge la scusa di aver bevuto in attesa dell'arrivo della pattuglia per i rilievi del sinistro, se già al momento della guida il conducente mostrava chiari i sintomi dell'ebbrezza, accertati in fatto
(Cass. Pen. Sez IV, del 11 maggio 2009, n. 19950)
ASAPS.IT


Con sentenza del 5 maggio 2008 la Corte di Appello di Trieste ha, respingendo il gravame proposto dal (), confermato la sentenza di condanna nei suoi confronti pronunciata dal Tribunale di Udine per il reato di guida di autoveicolo in stato di ebbrezza alcolica commesso il ().
Avverso tale decisione ha proposto ricorso l'imputato, deducendo violazione di legge, sia sul rilievo che i dati sul tasso alcolemico sarebbero stati rilevati con il cd. etilometro tardivamente, quando, durante l'attesa che giungesse la pattuglia dei carabinieri in ausilio ai vigili urbani che ne disponevano di uno rivelatosi non efficiente, egli aveva già assunto ad un bar una bevanda alcolica, in tal modo falsando i risultati se riferiti al momento della guida; sia sul rilievo che illegittimamente sarebbe stata negata la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.
Trattasi di ricorso destinato alla declaratoria di inammissibilità.
La prima doglianza è manifestamente infondata, tenuto conto che, pur in assenza di alcun elemento che la confermi, l'indimostrata tesi difensiva dell'assunzione postuma di bevande alcoliche non rileva, comunque, ai fini della sussistenza della responsabilità, posto che quest'ultima è stata ritenuta sulla scorta anche di elementi sintomatici dell'ebbrezza di sicura affidabilità, quale la testimonianza resa al dibattimento dal vigile urbano che ebbe a constatare "de visu" le condizioni dell'imputato subito dopo avere egli tamponato violentemente un furgone fermo al semaforo e procurato lesioni al suo conducente: il (), già al momento dell'incidente, presentava i segni inequivoci dello stato di ebbrezza da assunzione di alcool, in quanto emanava dall'alito forte odore di vino, si esprimeva verbalmente con difficoltà, mostrava eccessivo nervosismo, aveva occhi lucidi e piangeva.
Si rende, quindi, del tutto irrilevante la questione di legittimità costituzionale proposta in relazione alla diversità di trattamento sanzionatorio cui andrebbe incontro colui che si rifiuti di sottoporsi all'alcooltest e colui che, invece, sottoponendosi a quell'esame, risulti avere nel sangue una percentuale di alcool rilevante ai fini penali, posto che, nella fattispecie, alla affermazione di colpevolezza il giudice di merito è pervenuto già sulla scorta dei dati sintomatici, a prescindere di quelli strumentali, oggetto di odierna contestazione. In riferimento alla seconda doglianza, la questione proposta è all'evidenza infondata, avendo i giudici di merito correttamente elevato ad ostacolo insormontabile, ai fini dell'accoglimento della richiesta di conversione della pena detentiva, i precedenti penali dell'imputato, illustrativi di una negativa personalità, non inducente ad una prognosi di sicuro adempimento delle prescrizioni da parte del medesimo.
In riferimento, poi, all'eccepita prescrizione, va rilevato che, traendo la declaratoria di inammissibilità del presente ricorso da una causa che ha impedito il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, è inibito in questa sede (come statuiscono in conformità le Sez. Unite con sentenza 22/11/2000, ric. De Luca) la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. e, nel caso di specie, la prescrizione del reato invocata, ma maturata in data 17 giugno 2009, solo dopo la sentenza impugnata.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e, in considerazione dei profili e dell'entità della colpa riconoscibile nella condotta processuale, altresì al versamento a favore della Cassa delle Ammende della sanzione pecuniaria, determinata in via equitativa in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.