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Cresce l'azzardo, non ancora l'allarme sociale

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Cresce l’azzardo, non ancora l’allarme sociale

I dati sul gioco d’azzardo parlano chiaro: il fenomeno ha assunto molteplici facce, si è proteizzato in forme svariatissime, ma un dato appare incontestabile. E cioè la sua crescita. Poco contrastata da autorità o amministrazioni locali (spesso cointeressate, per non dire conniventi) e capace di muovere affari e appetiti colossali, se contiamo che nel 2012 la spesa procapite degli italiani per il gioco d’azzardo è risultata pari a 1.457 euro. Praticamente, gli italiani si sono giocati uno stipendio medio a testa.

Lo sanno bene a Pavia, la città che vanta il più alto numero di slot machine in Italia, una ogni 100 abitanti. Ma ognuno di noi può avvertire da vicino il fenomeno, guardando al proprio quartiere, ai negozi, alle gelaterie, che scompaiono per fare posto ad altrettante “sale slot”.

Ogni giorno in Lombardia apre una nuova sala giochi. A Milano sono 461 gli esercizi specificamente dedicati alle slot machine. La quota complessiva di denaro “giocato” rappresenta quasi il 10% della spesa complessiva delle famiglie italiane, rapportata ai bisogni primari e secondari.

E il Web? Terra di conquista, per gli implacabili imprenditori del “Gambling” (gioco d’azzardo) e del Betting (scommesse), che ne hanno fatto un facile canale di proselitismo dal quale, novelle sirene tentatrici, adescano i possibili “adepti” al ritmo di martellanti messaggi pubblicitari che li invitano a giocare online sempre meglio, sempre di più. Con la proficua collaborazione dei media. I messaggi li conosciamo tutti, no? Sono quelli che si chiudono con l’immancabile invito a “giocare con moderazione” o “responsabilmente”.

Ma si può usare moderazione quando si viene spinti verso uno stato patologico, cioè la ludopatia? E ci si può rovinare, sperperando lo stipendio o la pensione (oltretutto magrissimi, di questi tempi), in modo responsabile? Qualsiasi specialista che si occupi di cercare di curare questi disturbi vi risponderà di no.

La recente nascita dell’Osservatorio sui rischi di dipendenza da gioco, appare un primo anche se tardivo passo degli organismi di controllo verso una presa di coscienza nei confronti del problema. Tardivo, in quanto c’è ben poco ormai da osservare e studiare, rispetto ad un fenomeno che in modo sempre più allarmante sta facendo vittime in ogni dove, in ogni fascia d’età, in ogni ceto sociale. Ora l’obiettivo non può più essere quello di contrastare una realtà che è già palesemente malata e distruttiva: l’unico obiettivo possibile e accettabile, deve essere quello di eliminarla definitivamente.

Perché non investire risorse nella ricerca sulle radici di questa piaga? Ad esempio indagando sui flussi di denaro, sui creatori di questa rete di distruzione, sui mandanti di questa “peste” del nuovo millennio? Si calcola ad esempio che nel solo anno 2011 in tutto il territorio nazionale siano state fatte giocate per un totale di 79 miliardi, un fatturato pari alla terza industria nazionale.

In questo contesto, non stupisce vedere informazioni e dati statistici manipolati ad arte o presentati in maniera ingannevole, per continuare a stornare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla pericolosità intrinseca del gioco d’azzardo, praticato nelle sale slot oppure online.

Tale è a nostro avviso per esempio un rapporto che evidenzia come la spesa procapite mondiale nel gioco d'azzardo, per il 2012, sia stata di 82 dollari, ovvero 63 euro, sostenendo che nell’anno in esame si sarebbe registrata una spesa contenuta, nonostante una forte espansione del settore. Il rapporto, reso noto dalla Global Betting and Gaming Consultans (Gbgc), società di consulenza che si propone come scopo proprio quello di favorire l’industria del gioco, ci appare quantomeno tendenzioso.

Sostenere infatti che tutti nel nostro pianeta, compresi gli abitanti del Sud del mondo, si giochino ogni anno “solo” 63 euro a testa, significa presentare una medaglia scabrosa dal lato che fa più comodo. A noi sembra un dato inquietante, invece. Come inquietanti sono i commenti di chi ha steso quel rapporto: “C'è ancora molto margine di crescita per il gioco d'azzardo, molti Paesi devono ancora sviluppare le proprie economie. Il dato di spesa procapite risente inoltre dell'accesso limitato alle attività di gioco regolamentate in molti Paesi del mondo”.

Dunque si aspira a espandere la “rete” sempre di più, a convincere a rovinarsi con le proprie mani sempre più persone. Con il gioco, regolamentato e non. Ma non tutti stanno a guardare e non tutti fingono di non capire o si fanno depistare.

Così, proprio a Pavia, come scritto più sopra città più “slottizata” d’Italia, è nato il Movimento No Slot che intende proporre ai gestori di locali pubblici alternative “etiche” al facile guadagno rappresentato dalle slot machine. E in rete sono comparsi svariati gruppi di cittadini che, sotto nomi diversi (Movimento contro il gioco d’azzardo, No Slot, Senza slot) hanno creato siti e pagine dei social network per discutere e contrastare il problema.

E sempre più sindaci di Comuni sparsi un po’ in tutta Italia stanno decidendo di mettere al bando le infestanti macchinette, se non in tutto il territorio comunale, almeno in particolari e precise aree di rispetto (come ad esempio quelle vicine alle scuole).

Sul fronte politico, evidenziate le contraddizioni in materia di contrasto al gioco d’azzardo veicolate dall’ultimo governo, con proposte di decreti dapprima severissimi e poi annacquati all’ultimo secondo su pressioni delle lobby di settore, da registrare anche come una forza come il Movimento 5 Stelle abbia fatto della lotta al gioco d’azzardo uno dei punti principali del suo programma.

In ogni caso appare evidente che ogni misura intrapresa per combattere quella che appare ormai un’autentica piaga sociale può passere soltanto attraverso la percezione del problema da parte di fasce sempre più larghe dell’opinione pubblica. Come per il giocatore patologico la guarigione può cominciare solo dal momento dell’ammissione del proprio problema, così anche per la società l’opposizione al fenomeno può passare soltanto attraverso il suo riconoscimento.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)