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«Da tempo minacciava l'ex compagna e il figlio»

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Sconvolti gli assistenti sociali e il medico del Consultorio di San Donato Milanese che avevano tentato di fermarlo. L'omicida-suicida egiziano aveva numerosi precedenti penali e la Procura dei minori aveva espresso parere favorevole per la decadenza della patria potestà

IL GAZZETTINO 27 Febbraio 2009
Milano - «Aveva gli occhi del diavolo ed era in preda a un raptus di follia»: così gli assistenti sociali del Centro socio sanitario di San Donato Milanese descrivono Mohammed Barakat, l'egiziano di 53 anni, che l'altro ieri ha sparato a bruciapelo al figlio e poi l'ha finito a coltellate, per poi togliersi a sua volta la vita tagliandosi le vene e colpendosi al ventre con un coltello.
Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri, verso le 17 dell'altro ieri, un assistente sociale aveva accompagnato il bambino al Centro per il colloquio settimanale con il padre; li aveva poi accompagnati in ascensore al primo piano, dove si tengono i colloqui. Ma appena uscito, l'assistente ha sentito il grido del bambino, l'ha visto accasciarsi a terra e il padre avventarsi su di lui, colpendolo più volte al torace con il coltello.
L'assistente e un medico del Centro hanno tentato di allontanare l'egiziano dal figlio, usando anche una sedia di plastica e lo spruzzo di un estintore. Ma l'uomo ha cominciato ad infierire su se stesso, tagliandosi le vene e poi colpendosi al ventre con un coltello da cucina. Padre e figlio sono morti poco dopo, dissanguati.
«Tutto è successo improvvisamente - afferma un medico -. In ascensore erano entrambi sereni e il bambino era contento di vedere il padre». Il bambino: 9 anni, alunno di terza elementare, bravo a scuola («aveva appena portato a casa una pagella piena di 8 e di 9», ricorda il medico), impegnato nello sport, ben integrato, molto legato alla madre, con un doppio nome, italiano ed egiziano. «Una doppia origine, che non ha trovato una sintesi», commenta con amarezza.
«Non altrettanto ben integrato il padre - aggiunge il medico - che non aveva accettato di vedere il figlio solo in presenza degli assistenti sociali». «Più volte aveva minacciato di portarselo in Egitto, «sottolinea Rosalba Cilia, avvocato di Antonella, la mamma del piccolo ed ex convivente di Mohammed, un'italiana di 43 anni residente a San Donato. La situazione coniugale era «di tale conflittualità - spiega - che il bambino era stato affidato ai servizi sociali ma era domiciliato con la madre».
Nel procedimento aperto dal pm di Milano, Gianluca Prisco, è stato iscritto, per poter avviare le indagini, il nome del padre.
«L'uomo aveva già manifestato intenzioni minacciose nei confronti della madre e del figlio, dicendo anche di volerselo portare in Egitto», ha rivelato Rosalba Cilia, l'avvocato di Antonella P., madre del bambino ucciso. La donna, ha aggiunto l'avvocato, «aveva presentato decine di denunce per le minacce manifeste che l'uomo le faceva e riguardanti il bambino».
Il legale, recatosi a Palazzo di Giustizia di Milano per un colloquio con il pm Gianluca Prisco che segue le indagini sul caso, ha chiarito che «i due non erano sposati e avevano convissuto solo pochi mesi assieme, ma poi lui se ne era andato un mese prima che nascesse il bambino».
L'avvocato ha ricordato inoltre i precedenti penali dell'egiziano: condannato negli anni '80 a 2 anni e 6 mesi di reclusione per alcuni furti e denunciato nell'83 per detenzione di stupefacenti e segnalato più volte in Questura con diversi 'alias'.
L'altro ieri, mentre si consumava il dramma nel consultorio di San Donato, la donna era a colloquio con il suo legale nel suo studio. «Stavamo predisponendo la costituzione di parte - ha spiegato Cilia - perché l'egiziano aveva presentato un ricorso contro i colloqui protetti con il bambino che gli erano stati imposti dal Tribunale».
Il legale ha spiegato che il pm della Procura dei minori aveva dato nel 2006 un parere favorevole per la decadenza della patria potestà dell'egiziano, ma poi, per diminuire la conflittualità tra i due, alla donna era stato consigliato di non andare avanti nella causa.
Secondo l'avvocato Cilia, inoltre, «l'uomo non faceva assolutamente l'operatore turistico, aveva dichiarato più volte di fare diversi mestieri, ma in realtà andava e veniva spesso dall'Egitto senza fare nulla e faceva uso di alcool».