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Dalla cultura del vino alle "relazioni alcoliche"

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Dalla cultura del vino alle "relazioni alcoliche"
Secondo una recente analisi del Ministero della Salute, riportata dalla Coldiretti, negli ultimi trent'anni

circa il consumo medio di vino in Italia si è dimezzato. Proprio il nostro Paese, che insieme ad altri appartiene al bacino mediterraneo, da

secoli considerato la culla dell'alimentazione sana e delle cosiddette "culture bagnate" (ovvero quelle in cui vi è un consumo di vino

appunto "culturale", ovvero durante il rito del pasto), oggi vede diminuire sensibilmente queste abitudini. Il vecchio mito del buon vino,

associato anche ad antichi significati religiosi, sembra non far più presa sulle famiglie italiane e ancor meno sulle nuove generazioni.

Quello che da tempo si va denunciando, anche nella letteratura specialistica, è la diffusione di un consumo diverso, sia per quanto concerne

la tipologia delle bevande (birra o superalcolici, come nelle tradizioni nord-europee), sia soprattutto per quanto riguarda i significati e i

contesti con cui esse vengono assunte. Gli alcolici divengono l'accompagnamento quasi obbligato di una serata tra amici, di un'uscita dopo

cena, di una nottata in discoteca, di un concerto, oppure la necessaria preparazione della serata stessa con un aperitivo o un happy hour. La bevanda, trasformatasi definitivamente in merce come tutte le altre, non viene più degustata, ma consumata fugacemente, ingurgitata d'un fiato, "alla goccia", one-shot. E' il mezzo con cui si cerca la relazione con l'altro, la socializzazione: sempre più spesso si beve per sentirsi più sciolti, più disinibiti, per allacciare quei contatti che non si è più capaci di creare in altro modo. E, ancora, si vuole lo stordimento, lo sballo, ci si vuole distaccare dalla routine settimanale, nel vortice di un weekend esagerato.

Al contrario il vino, simbolo di una cultura pluri-centenaria, associato ai pasti, alla convivialità, al dialogo attorno ad un tavolo,

scompare o viene riciclato anch'esso come parte di quel consumo vorticoso, da festa del sabato sera o da botellòn in piazza. E' relegato a

corredo demodé di una cultura che non c'è più, quella stessa cultura di cui faceva parte una dieta sana ed equilibrata, uccisa forse per

sempre dai ritmi della società contemporanea e dall'irruzione violenta, lipidica e plastificata del junk food, dei cibi sempre più

confezionati e sempre più fast, della TV ipnotica accesa a tavola a rendere impossibile qualunque conversazione familiare, di una vita

vissuta a spizzichi, bocconi e finger food.
Accanto a ciò, si fa largo una selva brulicante di relazioni di superficie, di incontri fugaci, di incapacità comunicative. Una marea di

individui sempre più soli, che per raggiungersi e connettersi hanno bisogno di protesi, di accompagnamenti farmaceutici o sensazioni

stupefacenti. Oggi nessuno sarebbe più capace di spezzare il pane e darlo agli altri, o di alzare il calice quale simbolo del sangue e del

sacrificio: se mai vi fosse un qualche Profeta, tra i tanti predicatori che affollano la nostra quotidianità, probabilmente mostrerebbe agli

altri quanto è capace di ingurgitare quello stesso pane e quel vino nel più breve tempo possibile, in una nuova performance ed una sfida al

gruppo.

[per un approfondimento sul tema, consiglio il bel libro di Charlie Barnao, Le relazioni alcoliche, FrancoAngeli, Milano 2011].


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)