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Denzel Washington in "Flight": «Io, alcolizzato da Oscar»

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Denzel Washington in "Flight": «Io, alcolizzato da Oscar»

di Carlo Bizio

LOS ANGELES - Denzel Washington non può non dire qualcosa contro alcol e tossicodipendenze. Il suo nuovo film, Flight, di Robert Zemeckis, è l'ultimo erede di un filone hollywoodianoche vanta classici come Giorni perduti, I giorni del vino e delle rose, Via da Las Vegas. Ma Flight, che uscirà in Italia il 24 gennaio, è forse il più onesto. Il precipitare dell'aereo di linea pilotato da Washington - che compie un atterraggio d'emergenza miracoloso - fa da pendant alla caduta esistenziale del pilota stesso. Più che volo è crash: di un uomo che non riesce a liberarsi dalla schiavitù dell'alcol, del fumo, della cocaina. Racconta il grande attore, due Oscar per Giorni di gloria e Training Day: «Un giorno giurai di abbandonare qualsiasi sostanza dannosa. «E le porte della fortuna si sono schiuse, dal punto di vista spirituale e finanziario». Poi sorride. «Non sono un fanatico: bevo ancora ogni tanto alle cene, chi lo nega. Ma non ho mai sofferto nessuna dipendenza».


Flight non è dunque un film d'azione su un disastro aereo?
«Diciamo che è un dramma, non un thriller. Ma fare un film su un uomo che combatte i suoi demoni è difficile oggi. Per realizzarlo, sia io che Zemeckis abbiamo rinunciato al nostro cachet consueto. Lo abbiamo girato col budget relativamente modesto di 30 milioni di dollari, finiti quasi tutti negli effetti speciali dei primi 15 minuti. Il mio personaggio, Whip, è insieme un eroe e un alcolizzato. I due aggettivi possono convivere nella medesima persona? Ci si chiede: il gesto di Whip, che inverte l'aereo per fermare la caduta, nasce dal suo stato di alterazione o è un colpo di genio? Tuttavia il punto non è questo. La grazia aleggia intorno alla parabola di Whip, anche se in maniera mascherata. La sua debolezza non impedisce la sua bravura. È un tossico funzionale. In questo senso il film affronta alcolismo e tossicomanie senza predicare. Odio le prediche al cinema».


Che ricerche ha svolto?

«Ho seguito dei piloti in cabina per studiarne la gestualità e il modo di parlare tra loro e alla radio. Ho riascoltato varie volte la voce del comandante Sullenberg, quello che pilotò lo US Air sul fiume Hudson a New York salvando tutti, nel 2009, studiando la calma con cui esclamò: "Preparatevi all'impatto"».


E la descrizione così accurata di droghe e alcolismo?
«Beh, essendo cresciuto a New York, in una zona non proprio chic, ne ho viste di tutti i colori. Io stesso ho provato un po' di tutto».


Si spiega?

«Mai! Quinto emendamento! Mi avvalgo del diritto a non rispondere!», risponde ridendo.


Lei ha girato cinque film con Tony Scott, eppure non è stato al suo funerale. Perché?

«Perché il funerale è stato una faccenda privata per pochi intimi, soprattutto di famiglia. Ciò non significa che non avessi grande rispetto e stima per lui. La sua morte mi ha scioccato. Se mi avessero chiesto chi si sarebbe suicidato dei miei conoscenti, non avrei mai detto lui. A riprova che nessuno può sapere cosa ha un uomo dentro di sé».


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)