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Dipendenza alcolica e comorbilità psichiatrica: un quadro complesso

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Dipendenza alcolica e comorbilità psichiatrica: un quadro complesso
Estello Massimo Diana (Direttore S.C. Ser.D. 2 via Liguria, ASL Cagliari)


Descrizione del caso
Paziente di 50 anni, di sesso maschile. È arrivato all’attenzione del medico psichiatra su invio di una psicologa-psicoterapeuta.
Mai giunto all’attenzione di uno specialista ha chiesto aiuto perché da qualche tempo a un preesistente “disturbo di panico”, si sarebbe aggiunta una depressione.
La visita psichiatrica ha consentito di evidenziare, oltre il “disturbo di panico” e un “disturbo depressivo maggiore”, anche una forte “dipendenza da bevande alcoliche”.
È stato preso in carico psicofarmacologico contemporaneamente per tutti i suoi disturbi e incoraggiato, dopo il raggiungimento di una buona stabilizzazione psico-fisica, a proseguire il trattamento psicoterapeutico a orientamento bionomico già iniziato.


Anamnesi
Anamnesi familiare:
il padre, vivente, 73 anni, lavora ancora col figlio nell’attività commerciale di famiglia.
Il padre avrebbe sofferto per tanto tempo di un disturbo depressivo non ben precisato.
Il paziente ha riferito la sensazione che il padre, in passato, abbia almeno una volta tentato il suicidio, ma lui era bambino.
In quel periodo lui venne accolto dai nonni materni per qualche mese e quando ritornò in famiglia era presente anche la nonna materna perché la mamma non stava tanto bene.
Madre, 72 anni, affetta da cardiopatia ipertensiva in trattamento, ipotiroidismo in trattamento sostitutivo e da un disturbo d’ansia, presumibilmente un disturbo d’ansia sociale per il quale sarebbe stata sempre seguita da psichiatri, con scarsa compliance ai trattamenti farmacologici.
Da anni assume solo benzodiazepine prescritte dal medico di famiglia, con tendenza all’abuso per controllare l’ansia e indurre il sonno notturno arrivando ad assumere giornalmente in media 8-10 mg di lorazepam.
Fratello di 46 anni cardiopatico.
Sorella di 44 anni che avrebbe sofferto in passato di “disturbo di panico” risolto dopo trattamenti psicofarmacologici e un lungo trattamento psicoterapeutico a orientamento cognitivo-comportamentale.
Non informazioni di presenza di patologia psichiatrica o d’abuso negli altri parenti (nonni, zii e cugini).


Anamnesi fisiologica: nato a termine da parto eutocico, sviluppo psico-fisico presumibilmente nella norma. Alvo e diuresi regolari.
Ha conseguito il diploma di scuola media superiore e frequentato per alcuni anni un corso di laurea, con discreto successo, che è stato interrotto in quanto l’attività commerciale familiare aveva necessità dell’apporto di tutti i familiari. Ha quindi sempre lavorato come commerciante.
È coniugato, dall’età di 25 anni, con una donna che attualmente ha 45 anni, dalla quale ha avuto 3 figli rispettivamente di 22, 19 e 13 anni.
Modico fumatore soltanto nel periodo dai 17 ai 19 anni, ha interrotto perché praticava sport (calcio).


Anamnesi alcologica e tossicologica: ha iniziato a bere all’età di 20 anni, prima occasionalmente, poi è arrivato a bere, negli ultimi tempi, grandi quantità di bevande alcoliche (1 litro e mezzo di vino nei 2 pasti, aperitivi, amari,  caffè corretti).
A suo dire questo non ha creato “grossi problemi” anche se da anni “non c’è giorno che non beva”.
Ha negato l’uso, anche occasionale, di cannabis, cocaina, oppiacei o altre sostanze d’abuso.


Anamnesi patologica remota: comuni esantemi dell’infanzia. Frattura, all’età di 18 anni, della tibia destra durante una partita di calcio, trattata con apparecchio gessato.
Comparsa delle prime crisi d’ansia intorno all’età di 16 anni, accentuatesi durante la preparazione dell’esame di maturità.
Successivamente comparsa di veri e propri attacchi di panico in occasione dell’inizio della storia con Roberta (la moglie).
Successivamente gli attacchi di panico sono cessati per ricomparire nell’imminenza della nascita del primo figlio.
In quel periodo ha iniziato anche ad abusare di bevande alcoliche traendone un certo beneficio.


Anamnesi patologica prossima: comparsa, da circa 6 mesi, di una sintomatologia caratterizzata da umore triste, sensazione di inutilità, perdita di interesse sia per il lavoro sia per tutto ciò che precedentemente gli dava piacere.
Mancanza di entusiasmo, ha scarso appetito e negli ultimi 4 mesi ha perso 5 kg di peso.
Da circa tre mesi sarebbero comparsi attacchi di panico che riuscirebbe a controllare assumendo in maniera irregolare lorazepam arrivando, a volte, ad assumerne complessivamente 7,5-10 mg.
È consapevole che la sua abitudine al bere è aumentata traducendosi in una vera e propria dipendenza e in una sorta di automedicazione di alcuni dei suoi disturbi.
In particolare ha aumentato l’assunzione di bevande alcoliche (superalcolici) per placare l’ansia quando deve esporsi a situazioni sociali; inoltre utilizza e bevande alcoliche, spesso insieme alle benzodiazepine, per “medicare” l’attacco di panico.
Attuale bevitore di circa 2 litri di vino al giorno, qualche birra, 2-3 aperitivi, l’amaro a fine pasto, non disdegnando superalcolici quando riesce a sottrarsi al controllo della moglie.
Insonnia iniziale affrontata con un induttore del sonno prescrittogli dal medico di famiglia; presente comunque sempre risveglio anticipato e stanchezza.
Difficoltà di concentrazione e insicurezza in quasi tutti gli aspetti della sua vita.


Esami clinici e strumentali
Il medico di medicina generale ha provveduto a fargli eseguire tutta una serie di esami che hanno consentito di evidenziare un fegato lievemente ingrossato e steatosico e, dal punto di vista ematochimico un lieve aumento degli indici di funzionalità epatica e un MCV pari a 102,5 fL.


Esame obiettivo: le condizioni generali sono discrete.
L’esame obiettivo ha permesso di evidenziare un minimo ingrossamento del fegato, senza dolorabilità.
Null’altro da segnalare dal punto di vista fisico.
All’esame psichiatrico il paziente è stato collaborante, vigile, ma rallentato nell’eloquio, presumibilmente a causa dell’eccesso di ansiolitici assunti; orientato nel tempo e nello spazio ha presentato un'espressione atteggiata a tristezza, gestualità controllata ridotta.
Non sono stati rilevati disturbi formali del pensiero e delle senso-percezioni.
Sono stati verbalizzati pensieri tristi senza sconfinamento in deliri di rovina.
Non sono stati evidenziati spunti auto o etero- aggressivi anche se ha riferito che nei mesi scorsi ha pensato che “morire gli avrebbe risolto tutti i problemi”.


Decorso clinico e gestione terapeutica
Il paziente è risultato affetto da:
1. disturbo depressivo maggiore;
2. disturbo di panico, in parziale remissione farmacologica;
3. abuso di benzodiazepine;
4. dipendenza alcolica.
I disturbi, tutti in Asse I secondo i criteri del DSM-IV, sono risultati abbastanza gravi e cronicizzati.
Disturbo depressivo con caratteristiche di un disturbo recidivante.
La dipendenza alcolica si è instaurata gradualmente con una modalità tipo automedicazione. I disturbi sono sembrati tra loro concatenati.
Il paziente ha riferito anche una familiarità per disturbi dell’umore non sottovalutabile. Il paziente è stato seguito da un punto di vista psicoterapeutico e, per quanto riguarda il suo rapporto con le bevande alcoliche, ha fatto un buon percorso “motivazionale” ed è risultato pronto a “passare all’azione”.


Si è deciso, concordandolo con il paziente e con la moglie presente alle visite, un intervento farmacologico che consenta di affrontare contemporaneamente tutti i disturbi. Si è prescritta una terapia con paroxetina 10 mg/die; alprazolam 4 mg/die; acamprosato 666 mg tid; acido valproico 300 mg/die, lorazepam cp 1 mg al bisogno con la raccomandazione di non superare i 3 mg al giorno.
È stata fatta una generica raccomandazione di ridurre progressivamente l’assunzione di bevande alcoliche.


Follow-up
Al controllo, dopo una settimana, il paziente ha riferito di non aver avuto attacchi di panico, un minore desiderio di assumere bevande alcoliche, meno risvegli precoci e soprattutto un leggero miglioramento del tono dell’umore peraltro obiettivabile.
Riduzione della compulsione per l’assunzione di lorazepam; ha riferito un’assunzione di 1 cp solo nei primi giorni di trattamento.
Si è aumentato il dosaggio di paroxetina a 20 mg/die e si è consigliato di interrompere l’assunzione di lorazepam; per il resto la terapia è rimasta invariata con prosecuzione di psicoterapia a cadenza settimanale.
Dopo altre due settimane il paziente si è presentato alla visita in netto miglioramento per quanto riguarda l’umore e ha riferito di non avere ansia; ha riportato inoltre di aver completamente sospeso l’assunzione di bevande alcoliche.
Buona produzione di sonno notturno e, soprattutto, assenza completa di craving per bevande alcoliche. Rimodulazione della terapia, con aumento a 30 mg/die di paroxetina e programmazione di una graduale riduzione dell’ansiolitico.
Oggi, dopo circa 12 mesi, il paziente pratica una terapia di mantenimento e prosegue la psicoterapia.
Assume paroxetina 20 mg/die e continua ad assumere acamprosato, per altri 3 mesi.
Non ha più avuto attacchi di panico, l’asse timico si è normalizzato, è riuscito a sospendere completamente l’assunzione di benzodiazepine, non ha più assunto bevande alcoliche per le quali, peraltro, non ha manifestato più alcun craving, grazie all’assunzione di acamprosato.
I parametri ematochimici si sono normalizzati.


Discussione
Abbiamo analizzato il caso di un paziente con un quadro iniziale di comorbilità senz’altro molto complesso dove è stato difficile capire quali fossero i disturbi primari, quali quelli indotti e con un’anamnesi familiare importante: il padre con disturbo depressivo e un tentato suicidio; la madre con disturbo d’ansia e una sindrome d’abuso da benzodiazepine.
In questo paziente sembra che la dipendenza alcolica, così come quella da abuso di benzodiazepine, si sia sviluppata come forma di automedicazione.
Nel momento della presa in carico, di particolare aiuto nel decidere il trattamento psicofarmacologico sono state alcune considerazioni: il paziente era ben sostenuto dalla moglie, seguito dal medico di medicina generale, con un percorso motivazionale già avanzato e una presa in carico psicoterapeutica.
Per queste ragioni si è optato per una terapia con un antidepressivo non molto “disinibente” ed efficace nel trattamento del “disturbo di panico”, utilizzando in fase iniziale le benzodiazepine sia come sintomatici per prevenire gli attacchi di panico sia per ridurre o prevenire eventuale sintomatologia astinenziale.
Per la riduzione dell’abitudine al bere utilizzando acamprosato sono stati ottenuti risultati molto soddisfacenti.
L’efficacia della terapia con acamprosato in pazienti alcol-dipendenti con disturbi d’ansia è stata valutata in diversi studi e i risultati ottenuti confermano miglioramenti dei livelli di ansia e del sonno.
Anche sintomi subsindromici d’ansia e la storia clinica di una grave psicopatologia possono avere effetti negativi sull’esito del trattamento per l’alcoldipendenza.
Acamprosato si è dimostrato efficace, indipendentemente dai suoi effetti anti-craving, nel ridurre tali effetti negativi, compensando quindi le maggiori difficoltà che si incontrano nel curare pazienti alcol-dipendenti con sintomi d’ansia o antecedenti psichiatrici.


Tratto da: "Mission" 38/2013


http://www.federserd.it/periodico/mission38.pdf


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)