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Dipendenza da cibo: ricerca italiana alla Boston University

Dipendenza da cibo: ricerca italiana alla Boston University

PAOLA MARIANO
Chi ha un'indole impulsiva cadrà più facilmente preda del «binge eating», le forme estreme di dipendenza da cibo e le

abbuffate periodiche. Non a caso, la tendenza all'impulsività - misurabile con una serie di test psicologici - è già stata

legata alla «predisposizione» alla tossicodipendenza e all'abuso di alcol e ora si allarga a un campo più ampio di pericoli.
E' la nuova ricerca su cui si concentrano due scienziati italiani, Valentina Sabino e Pietro Cottone, impegnati in un centro

per lo studio delle dipendenze della Boston University. Qui studiano il «lato oscuro» del cibo. Analizzando i comportamenti

di alcuni topolini, hanno dimostrato che si possono sviluppare sia dipendenza sia compulsione verso alimenti specifici in

seguito alle diete «yo-yo», basate sull'alternanza tra cibi golosi e cibi «dietetici».
Crisi di dipendenza
E' evidente, così, che un nuovo tipo di droga, sempre più pericoloso per la salute, siano i cibi troppo golosi, gli snack e

il «junk food». E non è tutto. Un'altra ricerca - apparsa su «Nature Neuroscience» e realizzata da Paul Kenny dello Scripps

Research Institute di La Jolla, California - ha rivelato che la dipendenza da cibo è identica, per sintomatologia e

cambiamenti cerebrali, a quella indotta dalla cocaina e dall'eroina.
Kenny ha osservato che i centri del piacere, noti per il ruolo nelle tossicodipendenze, «vanno in tilt» anche nel cervello

delle cavie drogate da cibo: al centro c'è un neurotrasmettitore, la dopamina, e i comportamenti si alterano. Quando scoppia

l'astinenza, i topolini affrontano dolorose scosse elettriche pur di arrivare alla cioccolata.
Sono proprio le abbuffate ad aver attirato l'attenzione della coppia Valentina Sabino&Pietro Cottone, che alle spalle hanno

un'avventura a lieto fine. «All'Università di Palermo abbiamo presentato una tesi di laurea in farmacologia e siamo partiti

per un periodo di pre e post-dottorato allo Scripps Research Institute di La Jolla - racconta Cottone -. Lì abbiamo richiesto

un finanziamento ai National Institutes of Health per un progetto di ricerca, utilizzando un nuovo meccanismo che dà la

possibilità ai giovani ricercatori di fare il salto verso l'indipendenza, ricevendo fondi per realizzare un proprio

laboratorio. E' così che siamo stati assunti alla Boston University».
Ed è qui che «The Italians» - come li chiamano i colleghi - hanno partorito la scoperta sul cibo-droga. Un segno di

dipendenza sono proprio le abbuffate, insieme con le manifestazioni di ansia e stress, con un desiderio impossibile da

spegnere se non addentando l'ennesima tavoletta di cioccolato. Solo dopo averla divorata la «crisi d'astinenza» si placa,

almeno momentaneamente, fino a che non si sentirà il bisogno di un'altra «dose».
Le cavie sono state costrette a un regime «alternato»: per cinque giorni la settimana il cibo «standard» per due una dieta

zuccherina al sapore di cioccolato. «Dopo alcune settimane - sottolinea Cottone - nei cinque giorni "normali" i topolini

sviluppavano una sintomatologia caratterizzata da un comportamento ansioso e dal rifiuto del cibo meno goloso, che in

condizioni normali mangerebbero. Nelle 48 ore di alimenti al sapore di cioccolato, invece, si nutrivano in modo smodato e lo

stress si placava».
Lo studio dimostra che a causare l'altalena di sintomi è l'attivazione del sistema del fattore di liberazione della

corticotropina («Crf») nel centro neurale della paura, l'amigdala, che è coinvolta nella genesi dell'ansia. Quando il cibo

goloso viene rimosso, nell'amigdala aumenta il «Crf», ma non appena si dà il cioccolato il sistema ritorna alla condizione di

base, e l'ansia scompare, come se la dieta zuccherina alleviasse l'astinenza. Somministrando un farmaco sperimentale che

spegne il «Crf», infine, i topolini riducono l'abuso di cioccolato e l'astinenza scompare.
Borsa di studio meritocratica
E' quindi l'attivazione del «Crf» a spiegare perché è così difficile mantenere nel tempo un corretto regime dietetico. Non

solo. Lo studio suggerisce che la dieta «yo-yo» è un processo che si autosostiene, aumentando il rischio di obesità e

disturbi alimentari.
La scoperta potrebbe condurre a terapie per chi non riesce a dimagrire e può aprire nuove finestre d'indagine sugli

ingredienti del «junk food» che generano dipendenza. Intanto la coppia Sabino&Cottone lavora a un obiettivo parallelo.

«Vogliamo realizzare un altro sogno che aiuterebbe altri giovani italiani - spiegano -. L'idea è dare ad altri le stesse

possibilità che abbiamo avuto noi, creando una borsa di studio meritocratica per lavorare nel nostro laboratorio. Ma è chiaro

che per trasformare tutto in realtà abbiamo bisogno di fondi: ora cerchiamo finanziatori in Italia».